mercoledì
29 NovDuelli e democrazia
di Lorenzo Gasparrini.
Tra le tante modalità televisive di parlare di politica, e di parlare di politica in televisione, un fascino particolare lo riserva il “duello”. È stato chiamato così lo scontro formalizzato e arbitrato tra due personalità politiche che, di fronte alle telecamere, rispondono alla stessa domanda o sono lasciati liberi di parlarsi riguardo uno o più argomenti. Gli ascolti sempre elevati confermano che è una modalità certamente spettacolare, e molto attraente sicuramente per il network televisivo che la organizza. Quello che è meno chiaro è quanto realmente democratica sia questa modalità di confronto; non tanto tra i due contendenti politici, quanto per chi vi assiste.
Questo problema è stato sollevato chiaramente non molto tempo fa a proposito di un tema politico anche se di argomento scientifico: l’esistenza del “Climate Change”, il fenomeno del riscaldamento globale, che è stato al centro di molte polemiche per l’opinione che ne ha (aveva?) Donald Trump. In questo divertente video John Oliver mostra chiaramente la natura del problema: il dibattito televisivo “a due” è facilmente fraintendibile se non è chiaro di cosa si sta parlando. Per anni si è discusso dell’esistenza del fenomeno del riscaldamento globale, come se fosse un’opinione combattuta tra due gruppi omogenei di scienziati; in realtà, la schiacciante maggioranza degli specialisti coinvolti ha raccolto prove a sostegno della sua esistenza, e una esigua minoranza resiste con argomenti fragili. Ma in televisione vediamo sempre e solo un duello “uno contro uno” in proposito, che significa, per chi guarda, che le due opinioni in lotta sono sostenibili al 50%.
Per quanto riguarda l’immigrazione, siamo ormai abituati a vedere in Italia un duello tra un politico che è “favorevole” e uno che è “contrario”. Ci sono elementi oggettivi per sostenere entrambe le posizioni, ma pochissime volte la domanda sulla questione immigrazione è posta in modo realmente dirimente, e cioè: ha senso porsi solo due alternative, ossia aprire i confini o chiuderli? E soprattutto, queste due possibilità esistono realmente o sono solo chiacchiera da talk show utile a una produzione televisiva ma sostanzialmente inutile ai fini politici? Tornano in mente le parole di Alessandro Leogrande, ora che possiamo solo ricordarle:
“Ti invito a pensare più gramscianamente che i mezzi d’informazione sono terreno di scontro di forze politiche e gruppi di potere e non si tratta solo di usare con più attenzione le parole, ma di tornare alla politica, ripoliticizzare le parole”. Aveva preso in giro i corsi che siamo obbligati a frequentare dall’ordine dei giornalisti e che ci insegnano a rispettare il codice deontologico e la carta di Roma sui migranti. “Ci dovremmo rifiutare di frequentarli, almeno fino a quando non sarà sanzionato un quotidiano che mette in prima pagina la notizia che i migranti portano le malattie”, aveva detto con fermezza.
La polarizzazione del dibattito politico, cioè il ridurre tutte le possibili posizioni a due opinioni contrarie, ha nel duello televisivo non solo la sua rappresentazione, ma la sua influente ratifica. In un paese che dipende moltissimo per la sua informazione politica dalla televisione, costruire duelli televisivi significa sostanzialmente alimentare un processo antidemocratico, perché la pluralità delle posizioni e la complessità delle questioni viene banalizzata nei termini di un “si o no”, di un “di qua o di là”, di un “con me o contro di me”. Guarda caso, l’ultimo governo è caduto dopo un referendum; una scelta tra un “si” e un “no” ha chiuso anni di lavoro a riforme discusse e discutibili come se fosse possibile riassumerle tutte in un assenso o in un diniego.
Non ha molto senso dichiararsi tutti a favore della libertà di espressione e di una democratica pluralità di posizioni se poi l’economia della comunicazione costringe interlocutori e spettatori a due sole scelte per ogni questione. Una volta sancita l’esistenza di un problema politico – l’immigrazione, la violenza di genere, la burocrazia soffocante, la lentezza della giustizia, l’astensionismo… – il dibattito pubblico dovrebbe articolare e rappresentare diversi modi di affrontare questi nodi. Invece esso viene condotto fino a una estrema riduzione delle posizioni a due, sempre e solo a due. Una logica binaria che forse ha troppo intriso di sé il sistema comunicativo e quindi della rappresentazione politica; una logica che ora probabilmente sta sostenendo quel sistema al di là di ogni critica possibile.
iMille.org – Direttore Raoul Minetti
[…] *pubblicato sulla rivista iMille […]