L’esercito del selfie
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L’esercito del selfie

L’esercito del selfie

di Matteo Rinaldi.

Il vagone della metropolitana di Roma sfreccia veloce tra le fermate “Termini” e “Colosseo”; incredibilmente scorgo un sedile libero, così mi affretto prima di perdere il prezioso privilegio. La ragazza alla mia sinistra, evidentemente al ritorno dalle lezioni, si sposta bruscamente per farmi spazio, senza distogliere lo sguardo dalla schermata bianca e verde di “Whatsapp”. Alla mia destra, un signore sulla cinquantina a stento si accorge della mia presenza e, con la fronte corrucciata e il fare indaffarato, si concentra a far cadere tutte le palline prima che il rapido conto alla rovescia lampeggiante sullo schermo del suo cellulare giunga allo zero. Mi metto comodo con la schiena, asciugandomi dalla fronte il sudore, segno della disperata corsa per non perdere il treno. Il mio sguardo si rivolge al sedile di fronte: tante persone diverse, innumerevoli volti, colori, età. Una cosa però le accomuna: il piccolo oggetto rettangolare che tengono stretto nella mano e dove i loro occhi sono avidamente puntati. Non vola una mosca. Imbarazzato guardo da un’altra parte: un gruppo di ragazzi usciti da scuola tengono il prezioso oggetto nascosto dietro lo zaino. Evidentemente dopo cinque o sei ore passate a nascondere il cellulare dalla vista dell’insegnante non riescono proprio a tenerlo fieramente in mano come lo studente universitario che siede di fronte a loro. Questione di abitudine. I miei occhi si fermano su una ragazza molto graziosa che tiene in mano un piccolo libro; peccato sia disturbata dal rumore di razzi e mitragliate proveniente dai due sedili ai suoi lati: le piccole pesti si stavano rincorrendo per il vagone, ma fortunatamente i genitori seduti di fronte sono riusciti facilmente a placarli e ora li guardano soddisfatti, seppur con un pizzico di invidia per aver dato loro i preziosi dispositivi… non potranno mandare una foto dei pargoli allo Zio Giorgio! Mi sento sempre più a disagio… per fortuna vedo in piedi una signora anziana –Prego, si sieda!- -Grazie giovanotto! Senta, mi potrebbe aiutare? Mi è sparita l’icona di Facebook” –Si figuri, mi faccia vedere”.

Non è l’inizio di un romanzo distopico, ma semplicemente un ritratto, per nulla esagerato, della realtà che viviamo ogni giorno. Dal 2007 in poi le vendite degli smartphone sono cresciute esponenzialmente, fino ad arrivare, secondo dati Eurispes e solo nel 2016, nelle tasche del 75% degli italiani. Il “telefonino intelligente” è ormai diventato il protagonista assoluto delle nostre giornate, imponendosi di fatto come unica “centrale di controllo” per tutto ciò che avviene nella nostra vita. Demonizzare lo smartphone non sarà l’intento di questo articolo: ogni innovazione tecnologica ha portato con sé fiumi di critiche e rimpianti del passato, rilevatesi spesso semplicemente anacronistiche (basta pensare al telefono, al treno…). La cosa importante è la consapevolezza, cosa che, nelle persone prese dalla mania dello smartphone, sembra fin troppe volte essere assente. Lo smartphone è uno strumento potente, forse l’oggetto più invasivo degli ultimi decenni, e affidargli le chiavi della propria vita senza sapere a cosa si va incontro potrebbe risultare un errore imperdonabile.

Specialmente tra la popolazione giovane gran parte del tempo delle proprie giornate viene passato con il cellulare in mano. Non si tratta di minuti, ma di ore; se non ci credete vi invito ad installare applicazioni che monitorino il tempo passato al cellulare, come My Digital Diet. Ho fatto installare l’applicazione a diverse persone che non pensavano di essere dipendenti dal proprio cellulare: i più “bravi” si attestavano intorno alle 2,30h al giorno, mentre diversi miei amici superavano abbondantemente le 4 ore al giorno al telefono; secondo una ricerca di OnePool, il tempo medio passato allo smartphone è di tre ore e mezza: oltre il 20% della nostra vita. Ognuno di noi si lamenta di non avere tempo per fare ciò che ama, ma basterebbe ridurre l’uso dello smartphone per guadagnare quotidianamente una quantità considerevole di tempo. Leggere un libro, guardare un film, fare una passeggiata, uscire con gli amici sono tutte attività che perfino uno studente universitario con un esame imminente potrebbe svolgere tranquillamente se solo rinunciasse al suo inseparabile telefonino. È importante essere consapevoli di come si passi il proprio tempo, e quello dedicato allo smartphone viene spesso ignorato perché “tanto sono solo cinque minuti”, “guardo una cosa e riprendo a studiare”, “un messaggio al volo” per poi essere catturati da una quantità spaventosa di spunti, notifiche, collegamenti e riuscire a staccarsi dallo schermo solo dopo diversi minuti. O quando si scarica la batteria. Il risultato è quello di fare ogni cosa con difficoltà e impiegando più tempo, soprattutto a causa di una distrazione praticamente continua (secondo il Global Mobile Consumer Survey 2016, si guarda lo schermo anche 200 volte al giorno) che non permette di dedicare attenzione continua a nessuna cosa, dallo studio, al lavoro arrivando perfino al gioco con i propri figli. Tutto viene continuamente interrotto e spezzato in frammenti di pochi minuti.

Secondo numerosi studi e indagini, questo nuovo modo di interagire con la realtà porta ad una conseguenza atroce: la superficialità. Abbiamo accesso a una quantità pressoché infinita di informazioni, ma non siamo più in grado di approfondire, limitandoci a dedicare giusto pochi minuti ad ogni argomento. Il rischio è che dietro ad un’illusione di pienezza si nasconda in realtà una conoscenza vuota e frammentaria, povera di profondità e riflessione. Gli articoli scorrono velocemente, si salta da una pagina ad un’altra, ogni tentativo di lettura viene interrotto da cento altre distrazioni: forse non è un azzardo dire che istruirsi attraverso lo smartphone sia tempo sprecato. E il problema è che sta diventando giorno dopo giorno la nostra unica fonte di informazione, con risultati orwelliani. La superficialità non si ferma “solo” alle informazioni, ma invade perfino la sfera dei rapporti umani, con conseguenze psicologiche drammatiche. L’incredibile semplicità, rapidità e multifunzionalità dello smartphone fa si che venga usato di continuo e praticamente per qualsiasi cosa. Il risultato è quello di una vera e propria demenza digitale, come illustra l’omonimo e audace libro di M. Spitzer. In molti casi lo smartphone prende il posto del cervello, portando ad una sorta di atrofizzazione di quest’ultimo, che semplicemente diventa inutile. In ogni discussione lo smartphone viene tirato fuori per “cercare informazioni”, con il risultato di distruggere le nostre facoltà mnemoniche. Tante situazioni in grado di tenere la nostra mente allenata e all’erta vengono risolte con troppa facilità ricorrendo al dispositivo.

Un esempio tipico è dato dall’abuso del GPS: difficilmente le persone abituate ad utilizzare continuamente il navigatore del telefonino (come la quasi totalità delle nuove generazioni) sapranno ritrovare anche solo la strada di casa senza smartphone. È ancora presto per stabilire se stiamo diventando tutti idioti o se si tratta di un ponte verso un altro concetto di essere umano. La certezza è che questa tecnologia modifica la nostra mente fin nel profondo, con una velocità impressionante, e folle sarebbe far finta di niente senza esserne consapevoli. Il rischio di perdere la capacità di riflettere è infatti elevato: lo smartphone è l’antidoto numero uno alla noia; tra social, app, navigazione su internet e centinaia di giochi che sembrano non stancare mai, annoiarsi al giorno d’oggi sembra essere diventato davvero difficile. Sembrerebbe un aspetto positivo, ma stiamo dimenticando qualcosa di molto importante. La noia è un elemento preziosissimo, un momento in cui la mente si svuota e viene lasciato spazio alla riflessione e, soprattutto, alla creatività. Uccidendo la noia eliminiamo quei momenti in cui il nostro pensiero viene lasciato finalmente libero di vagare senza una meta precisa: sono in quei momenti che si prende consapevolezza della propria vita, in quei momenti che l’arte e ogni altra forma di creatività prendono il loro spunto. È un qualcosa di troppo importante per l’essere umano per scegliere di eliminarla, trasformandoci ancora di più in uomini-automi, sempre impegnati a fare qualcosa e senza più un momento per stare finalmente soli con sé stessi.

Abbiamo visto rapidamente quanto lo smartphone sia in grado di modificare profondamente il modo in cui ci approcciamo alla realtà, agli altri e perfino a noi stessi. Si tratta di un dispositivo così potente da essere in grado di modificarci ontologicamente, di spingerci ancora di più verso quella nuova forma di essere umano, l’inforg, definita dal noto teorico dell’informazione Luciano Floridi.

Il punto non è decidere se questo sia o non sia giusto, ma quello di rendersene conto ed avere la forza e la consapevolezza necessaria per scegliere consciamente della propria vita.

Rinunciare allo smartphone? Il mio invito non è di rinunciare allo smartphone, ma far sì che il possederlo o meno sia una scelta e non qualcosa di imposto dal costume odierno. Non è possibile delegare a qualcuno diverso da noi stessi una decisione così importante per la nostra vita, al giorno d’oggi (e probabilmente non per molto ancora) sottovalutata in modo spaventoso. Da quasi un anno sto provando a vivere senza smartphone, dopo aver tirato fuori dal cassetto il mio vecchio Nokia 3410. Non esagero dicendo che la mia vita è cambiata radicalmente: le giornate sembrano essersi allungate di molto e finalmente ho molto più tempo per fare quello che mi piace, senza troppe distrazioni. Tanti momenti “vuoti” che prima avrei riempito chattando o cercando informazioni superflue su Internet si sono trasformati in occasioni per osservare il mondo e gustarne i particolari, per scambiare due chiacchiere, per riflettere ogni volta su un argomento diverso. Prima di andare a dormire scorrevo annunci di auto d’epoca su Autoscout, ora leggo un libro o guardo un film. Certo, ora mi sento con meno persone, ma posso assicurarvi che non ho perso minimamente i contatti con quelle a cui tenevo veramente: gli SMS sono comodi, e l’intimità di una telefonata è infinitamente superiore a quella di una chat. Il primo periodo si rimpiangono tante piccole comodità, ma si impara presto ad orientarsi per le strade, a telefonare ad un amico per chiedergli un’informazione, a conoscere i fatti del giorno sulle pagine di un giornale o semplicemente del Televideo. Su di me ha funzionato, ma questo non significa che sia lo stesso per voi.

Non sono felice di essere stato costretto ad una scelta così drastica e non credo sia la migliore, ma è la mia, per ora ne sono convito, magari un domani ritornerò sui miei passi, chissà. Ora tocca a voi scegliere. Provate a vivere una settimana senza smartphone, non è difficile: basta spegnerlo, togliere la SIM e inserirla in quella del vostro vecchio cellulare. Mi raccomando, nascondetelo dalla vostra vista oppure avrà per voi un’attrazione uguale a quella di un pacchetto di sigarette per un fumatore accanito che sta cercando di smettere. Funzionano così le dipendenze. Poi andate per le strade, vivete la vita di ogni giorno e cercate di rendervi conto del tempo guadagnato e dei tanti modi in cui spenderlo. Osservate un albero, un tramonto, un sorriso; telefonate a un amico, perdetevi con la macchina in una strada mai vista prima, riposatevi sul divano con mente insolitamente libera. Quando lo riterrete più opportuno, scegliete quello che ritenete migliore per voi. Ogni decisione è valida, sia se ritornerete alle abitudini di prima, sia se farete più attenzione al tempo dedicato al cellulare (magari installando un’app contatempo), sia se deciderete di rinunciarvi sarà finalmente la vostra e comunque avrete sperimentato per qualche giorno un modo di vita diverso da quello al quale da anni (e per molti giovani, da tutta la vita) siamo abituati. Buona settimana senza smartphone!

 

 

 

iMille.org – Direttore Raoul Minetti
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