Una moneta senza Stato: il futuro dell’Eurozona passa attraverso l’Unione Fiscale
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Una moneta senza Stato: il futuro dell’Eurozona passa attraverso l’Unione Fiscale

Una moneta senza Stato: il futuro dell’Eurozona passa attraverso l’Unione Fiscale

di Fabio Borella,
Menzione Speciale Economia, ex aequo, del Premio Jo Cox per Studi sull’Europa,  attualmente studente dell’Università Bocconi di Milano.  La tesi premiata è stata elaborata durante gli studi presso l’Università LUISS Guido Carli.

Fin dalla sua creazione la moneta unica ha suscitato molte critiche, ma, soprattutto, in molte nazioni non ha aumentato integrazione, benessere e occupazione tanto quanto i fautori dell’Unione Economica e Monetaria (UEM) si aspettavano. Il motivo principale dello stato in cui versa l’UEM, che fu il frutto di una decisione più politica che economica, risiede nel fatto che ad una moneta unica e ad una Banca Centrale, creata con puri scopi di stabilizzazione dei prezzi, non venne affiancata un’unica autorità politica a cui fosse attribuita la gestione della politica di bilancio a livello centrale. Questo rende l’Eurozona un’unione monetaria atipica, senza precedenti, nella quale è stato scisso lo storico legame fra moneta e autorità statale.

A tale proposito, si è parlato dell’Euro come “una moneta senza Stato”. Solitamente, a fronte di una politica monetaria unica, le aree valutarie e le federazioni implementano sistemi di trasferimenti fiscali e centralizzano un’ampia parte della spesa pubblica per ottenere una condivisione dei rischi tra Stati membri o regioni. Se negli Stati Uniti, oltre all’azione dei governi dei singoli Stati, da Washington viene condotta una politica fiscale comune a livello federale, non esiste nell’UEM un governo europeo che svolga un simile ruolo. In assenza di tali meccanismi fiscali, gli eterogenei Paesi dell’Area Euro sono particolarmente vulnerabili ai grandi shock asimmetrici, che inizialmente colpiscono solo alcuni di essi, ma, dato l’elevato livello di integrazione tra le economie nazionali, rischiano poi di contagiare anche gli altri Stati Membri e trasformarsi in crisi sistemiche. Se vi è una lezione che può essere tratta dalla Grande Recessione, è che le istituzioni dell’UEM si sono rivelate mal equipaggiate tanto a prevenire quanto a gestire la crisi che ha travolto l’Eurozona. Ciò che è emerso, ma che era già chiaro ai padri dell’Euro, è che la resilienza dell’UEM è gravemente compromessa dall’assenza di un’Unione Fiscale e di un’Unione Politica.

Sulla base di queste considerazioni, lo scopo del mio elaborato è stato quello di esaminare le ragioni economiche che giustificano un progresso nell’integrazione fiscale e valutare l’opportunità di introdurre degli strumenti di condivisione fiscale del rischio, che completino l’architettura europea con un’Unione Fiscale e permettano agli Stati Membri di rispondere agli shock con una più efficace stabilizzazione macroeconomica.

Dapprima mi sono soffermato sulle implicazioni dell’appartenenza di un Paese ad un’area valutaria, derivanti dalla perdita della sovranità monetaria e del controllo sulla politica di cambio. Ho analizzato le caratteristiche dell’UEM facendo riferimento alla teoria delle Aree Valutarie Ottimali per capire quanto i Paesi dell’Eurozona siano esposti agli shock asimmetrici e in che misura essi siano in grado di rispondervi. Ho poi confrontato le differenti varietà di capitalismo che si riscontrano nell’Area Euro, traendo spunto dall’eterogeneità e dall’incompatibilità delle strutture economiche dei diversi Paesi per interpretare l’impatto asimmetrico della crisi dei debiti sovrani.

Ho quindi voluto approfondire il percorso che ha portato all’attuale assetto fiscale dell’UEM. Ripercorrendo le sue tappe principali, ho cercato di far luce sulle connotazioni politiche ed economiche della genesi dell’Euro, mostrando come la questione fiscale non fosse affatto estranea al dibattito. Successivamente ho analizzato l’evoluzione del quadro europeo di regole di disciplina e coordinamento fiscale e le misure che sono state prese in risposta alla crisi con la creazione del Meccanismo Europeo di Stabilità, l’istituzione delle Outright Monetary Transactions e la nascita dell’Unione Bancaria.

Avendo così fotografato lo stato attuale, mi sono occupato dei presupposti che giustificherebbero la creazione di un’Unione Fiscale. Partendo da alcuni cenni di teoria sulla politica fiscale e sul federalismo fiscale, ho effettuato un confronto con le pratiche adottate in alcuni Stati federali. Ho quindi studiato quali sono le modalità di condivisione del rischio, pubbliche e private, per attenuare l’impatto degli shock asimmetrici e valutato come e in che misura questi vengono attenuati nell’Area Euro.

È emerso che una significativa condivisione fiscale dei rischi è fondamentale per garantire che la funzione di stabilizzazione non sia relegata alle sole politiche nazionali. Queste ultime spesso si rivelano insufficienti e condannano i Paesi a processi di aggiustamento dolorosi. Serve dunque che le risposte nazionali siano accompagnate e sostenute da meccanismi di assicurazione fiscale istituiti a livello di Area Euro. L’obiettivo deve essere quello di instaurare ex ante degli strumenti comuni che entrino in azione in maniera automatica quando un Paese viene colpito da uno shock

Dopo aver passato in rassegna il dibattito sulle prospettive di riforma dell’UEM, ho analizzato le principali proposte emerse per avanzare con l’integrazione fiscale. In particolare, ho vagliato l’ipotesi di istituire una capacità fiscale centralizzata, che potrebbe prendere la forma di un bilancio centrale per l’Area Euro o quella di un meccanismo fiscale comune di stabilizzazione automatica, come un rainy day fund o un sistema europeo di assicurazione contro la disoccupazione.

Il finanziamento di una tale capacità fiscale potrebbe avvenire attraverso i contributi degli Stati Membri ed essere integrato dall’emissione di strumenti di debito comune. La creazione di titoli europei liquidi e sicuri, oltre a garantire il finanziamento di politiche fiscali di stabilizzazione, attenuerebbe il pericoloso nesso tra banche e Stati sovrani, faciliterebbe la trasmissione della politica monetaria e rafforzerebbe la stabilità dei mercati finanziari. Infine, ho esaminato diverse proposte per una riforma del Meccanismo Europeo di Stabilità, che potrebbero modificarne assetto e funzioni in varie direzioni.

In ultima analisi, se il progetto dell’Euro è nato da ragionamenti di tipo politico, più che economico, oggi il suo completamento è prima di tutto una necessità economica da cui discendono vitali conseguenze politiche e sociali. Esso deve dunque evolvere per far fronte alle imperfezioni e alle mancanze che si sono palesate nel primo ventennio dalla sua nascita.

 

iMille.org – Direttore Raoul Minetti
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