mercoledì
10 OttEnnesimo complotto contro gli italiani
di Giovanni Costenaro.
La decadenza del dibattito pubblico in Italia al tempo dei social
Vorrei condividere, con chiunque abbia voglia di leggerla, una (non) breve riflessione sullo stato del rapporto tra mondo intellettuale/scientifico e la cittadinanza italiana, rapporto che considero fondamentale per il processo di formazione di quell’opinione pubblica che costituisce una delle basi fondamentali di una democrazia rappresentativa. Chiariamoci su un paio di punti: si tratta di un rapporto dinamico e sempre in trasformazione, di un interscambio all’interno del quale gli individui che compongono la nostra società, si influenzano a vicenda generando idee, opinioni, visioni del mondo. Un’opinione pubblica matura si forma cioè attraverso un confronto tra le diverse esperienze che si intrecciano nella realtà che ci circonda: medici, accademici, operai, giornalisti, impiegati; ognuno contribuisce con idee ed azioni alle continue trasformazioni che ci coinvolgono.
All’interno di questo groviglio di interconnessioni, un posto particolare spetta al mondo scientifico-intellettuale, il quale dovrebbe condividere le conoscenze acquisite grazie ad anni di studio e riflessione con tutti coloro che intendono approfittare di tali conoscenze. Ovviamente, mentre grazie al cielo possiamo scegliere quali idee, speculazioni e riflessioni riteniamo più vicine a noi, per quanto riguarda la produzione scientifica delle varie discipline dobbiamo necessariamente affidarci ad essa, perché la scienza, per quanto alle volte possa sbagliare, può essere messa in discussione soltanto da coloro che la producono, realizzando in questo caso nuove scoperte.
Sia per il mondo intellettuale che per quello scientifico, però, esiste un metodo di analisi il quale, pur portando a svariate conclusioni, anche molto diverse tra loro, non può essere trascurato. Proprio partendo da queste considerazioni, mi piacerebbe dunque condividere con voi alcune idee sullo stato decadente quando non imbarazzante di una parte dell’attuale produzione culturale. Per farlo vorrei cominciare dall’analisi del metodo di uno di quegli intellettuali mainstream che calcano ormai quasi quotidianamente il mondo delle televisioni, dei social e dell’editoria: Diego Fusaro.
Perché partire da lui? Anzitutto, perché come accaduto a molti lettori anch’io sono rimasto inizialmente affascinato dalla retorica, dalle idee, dall’aplomb di questo signore, salvo poi ricredermi totalmente. Per quale motivo? Semplicemente perché ho approfondito e studiato, durante il percorso universitario, tematiche da lui toccate, scoprendo non solo che aveva torto marcio, ma che proprio spesso non sapeva di che cosa stava parlando.
Il caso specifico cui mi riferisco riguarda la menzione di Fusaro al cosiddetto piano Kalergi, uno dei tanti leitmotiv che hanno fomentato le paure nei confronti di un’inesistente invasione dall’Africa. Ora, ritenere che effettivamente sia in corso, una tale invasione, è pure legittimo, anche se personalmente trovo quest’idea abbastanza estranea dalla realtà. Siamo in democrazia, fortunatamente, e ognuno può pensarla come vuole.
Diverso è invece raccontare falsità per fomentare paure in questo senso, come ha fatto Fusaro e come hanno fatto molti altri. Ora l’insigne filosofo qualche mese fa pubblicava, riprendendo ovviamente uno dei tanti trend topic che allora giravano sui social, una frase estrapolata da un libro del nobile boemo Coudenhove-Kalergi secondo la quale in futuro tutte le razze umane si sarebbero mischiate creandone una unica, sostituendo l’insieme dei popoli con una molteplicità d’individui. Fusaro lo definisce «il perverso disegno» di Kalergi, che si starebbe ora realizzando con le migrazioni attraverso il Mediterraneo. In effetti, si tratta di una previsione che l’autore inserisce in un suo libro scritto nel 1925, per altro disponibile online. Lungi dall’essere un disegno perverso, si tratta in realtà di una personale previsione fondata sul fatto che il progresso economico e tecnologico, soprattutto nel campo dei trasporti, avrebbe reso inevitabilmente facile spostarsi da uno stato all’altro, da un continente all’altro. Nell’arco di un lunghissimo tempo (secoli e secoli) quindi, i popoli si sarebbero mischiati tra di loro. Ora, tralasciando il fatto che ciò non sta avvenendo e che le razze non esistono, il fatto importante da tenere in considerazione è che Kalergi, fondatore del movimento pan-Europeo, pacifista e federalista, non voleva affatto un’invasione dell’Europa, né era poi così favorevole a un mescolamento razziale: semplicemente riteneva che sarebbe avvenuto. Si tratta tra l’altro di una banale ovvietà, come sappiamo ora, visto che la maggior parte di noi, da un punto di vista genetico, è già il risultato di molteplici incontri avvenuti nel corso delle centinaia di maglia d’anni di storia umana.
Ma non solo Kalergi non voleva tutto ciò: al contrario, in un momento di forte crisi per il continente Europeo, cioè nel 1929, predicava la necessità per i popoli del Vecchio Continente di cooperare indirizzando le forti sacche di disoccupazione createsi verso le il continente africano, allora considerato uno spazio sostanzialmente vuoto e aperto alla colonizzazione bianca. Non solo, gli europei in loco avrebbero dovuto dominare sugli indigeni, vista «l’ineguaglianza delle razze umane» che li rendeva superiori a questi ultimi. Inoltre, sosteneva Kalergi, se una migrazione dalle zone di popolamento bianche verso le colonie era auspicata e anzi necessaria, il processo inverso non doveva e non poteva al momento essere attuato, per evitare in Europa i problemi generati dalla questione razziale allora così problematica negli Stati Uniti.
Insomma, non solo Kalergi non voleva nessuna invasione dell’Europa, ma predicava anzi l’attuazione di un fenomeno contrario! L’evoluzione del suo pensiero sulla materia, così come su molte altre questioni, è un argomento in realtà ancora più complesso e molto interessante da studiare. Va poi contestualizzato e posto nel campo di forze in cui l’autore si trovava ad agire: un’Europa divisa, sempre sull’orlo di crisi devastanti tra i vari stati, dilaniata dal razzismo e dal nazionalismo più spinti. Queste poche righe sul tema ovviamente non bastano a descrivere la questione, se non banalmente.
Ciò che importa qui però è denunciare il metodo utilizzato da Fusaro nel suo accalappiare consensi lavorando sulle paure più profonde delle persone. Un metodo, quello di estrapolare poche righe di un autore, strappandole completamente dal contesto in cui sono state scritte, che ogni vero ricercatore, ogni intellettuale onesto sa essere completamente sbagliato e fuorviante. Ancora più grave dunque ciò che fa Fusaro, una sorta di “intellettuale da baraccone” che si dipinge come un filosofo, il quale dovrebbe avere quindi l’ambizione di ricercare la verità. Invece, si tratta di una persona pronta ad utilizzare ogni mezzo pur di diffondere le proprie ideologie, ricordando molto quei falsi profeti dei quali già la bibbia avvertiva di diffidare.
Proviamo ad esempio ad applicare il metodo di Fusaro a un altro scritto, sempre datato agli anni ’20 del secolo scorso:
«è stato solo a partire dall’età di quattordici o quindici anni che ho cominciato a imbattermi spesso nella parola “ebreo”, in parte in connessione con le polemiche politiche. […] Poiché pensavo che (gli ebrei) fossero perseguitati a causa della loro fede, la mia avversione nei confronti delle osservazioni fatte contro di loro si trasformò quasi in un sentimento di orrore. Non sospettavo minimamente che potesse esistere un antisemitismo sistematico».
Cosa diremmo, se applicassimo appunto il metodo usato da Fusaro per ricostruire il pensiero di questo anonimo autore? Ma che bello, ci verrebbe da dire, si tratta di una persona controcorrente che prende le difese del popolo ebraico in un periodo di antisemitismo dilagante! Invece si tratta di un passo estratto dal Mein Kampf di Hitler, in cui il futuro genocida descrive il percorso che lo condusse ad odiare un intero popolo. Immaginatevi di giudicarne l’operato soltanto da questo passaggio!
Capiamo così quanto sia necessario guardarsi da chi utilizza il proprio talento per circuire, se non raggirare, altre persone, all’evidente scopo di approfittare fino in fondo di quel mercato tanto criticato proprio da Fusaro, il quale evidentemente non ha la minima idea di chi sia Coudenhove-Kalergi, ma ne utilizza le parole ai propri fini. Ahi serva Italia! La vanità che sembra ormai contraddistinguere la nostra società – come ebbe a dire Dante riferendosi ai papi simoniaci – «il mondo attrista, calcando i boni e sollevando i pravi».
Fusaro, ovviamente, rappresenta solo un esempio del perverso meccanismo che sembra sempre più “sollevare i pravi”, dando risonanza a idee balzane, quando non in malafede, le quali rispondono ai bisogni delle persone e non alla volontà di scoprire verità. Senza contare il continuo mescolamento di ruoli che ci fa ritenere di avere la stessa autorevolezza di esperti che dedicano la propria vita allo studio di specifici argomenti. Così fioccano la scienza fai da te, le cure miracolose, le ricette di economia più assurde. Un esempio su tutti: l’altro giorno mi è capitato quasi per caso di vedere una trasmissione in cui si confrontavano un economista, Michele Boldrin, e una giornalista esperta di terrorismo – tra l’altro molto brava nel suo mestiere – Loretta Napoleoni, la quale, dopo aver ripetutamente confuso la crescita del tasso d’inflazione con quella del tasso d’interesse nella crisi del 1992, si offendeva quando Boldrin notava che no, lei non era un’economista. Siamo al teatro dell’assurdo! Com’era quel post che girava: “ma non bastava la passione per gli animali per diventare veterinario”?
In mezzo alla confusione creata dalla transizione digitale e dai nuovi canali di comunicazione, diventa quindi necessario che le persone competenti e capaci, gli intellettuali, gli scienziati, si adoperino in una paziente opera di divulgazione capillare. Nonostante tribalismi e faziosità vari, le persone in fondo cercano di capire il mondo che le circonda e i metodi più adatti a migliorare le proprie vite. È necessario dunque che le persone più capaci nei propri rispettivi campi s’impegnino a spiegare con semplicità e umiltà, senza arroganza, senza spocchia le nozioni imparate il proprio percorso di vita. Soprattutto, essi dovrebbero confutare parola per parola, frase dopo frase, le grossolanerie e le banalizzazioni di analisi palesemente errate, come quella qui descritta.
Ma attenzione: senza schernirle o delegittimarle: il fatto che tanti cerchino di dare risposte a domande che noi tutti ci facciamo non è di per sé un male, anzi. Bisogna però far capire in che modo e dove troppe di quelle risposte ricadono in errori e semplificazioni, cercando di comunicare con tutti indipendentemente dalla loro professione o da altri criteri. Magari abbandonando caratterizzazioni e definizioni come quella che descrive certi movimenti come populisti, che se esistono i populisti esistono anche gli elitisti, e non so quale dei due sia meglio. Perché l’unico consensus omnium bonorum di cui abbiamo bisogno non è quell’unione delle classi più privilegiate sostenuta da Cicerone, ma un’alleanza tra chi, pur con opinioni anche opposte, cerca di migliorare la situazione del paese e di tutte le sue parti sociali, cercando di mostrare realtà e non ideologie. È ormai l’unico modo per cercare di arginare i veri complotti che minacciano sempre più di destabilizzare la nostra società: quelli di chi, per probabile tornaconto personale, distorce la realtà vendendone (letteralmente) un’immagine semplificata e sfocata.
iMille.org – Direttore Raoul Minetti
[…] *pubblicato sulla rivista iMille […]