mercoledì
10 LugImpressioni sul nuovo orale della maturità
di Francesco Rocchi
Non avendo una quinta e non essendo stato nominato commissario, quest’anno io la maturità potevo ignorarla del tutto, ed ero davvero tentato di farlo. Però ero curioso, e allora ho voluto assistere al lavoro di qualche commissione qua e là, anche perché l’anno prossimo una quinta ce l’avrò e voglio partire preparato.
Sia pur brevemente, ho assistito agli orali di un tecnico agrario, di un corso amministrazione e finanza, di un tecnico ad indirizzo turistico e di un liceo classico. Mi sono fatto delle opinioni, che andrò qui ad illustrare, pur sapendo benissimo che non si tratta che d’impressioni personali, senza nessuna pretesa scientifica.
La prima e più evidente constatazione è che la nuova formula non ha portato una rivoluzione: il procedimento ha subito delle modifiche, ma le commissioni e gli studenti sono rimasti uguali a sé stessi. La dialettica tra la commissione e il candidato è sempre la stessa: gli studenti arrivano mediamente assai timorosi e cercano di tirar via, mentre i docenti camminano sulle uova per tenere fede allo spirito e agli scopi che il legislatore ha immaginato per il colloquio orale. Il risultato è un rito che già prima della riforma aveva una validità molto traballante, e ora non pare molto migliorato, perché i nodi e i problemi più profondi sono rimasti largamente intatti.
La prima considerazione che mi sento di fare è in effetti del tutto slegata alla riforma, ed è soltanto la riproposizione di un fatto che solo l’abitudine non ci fa considerare del tutto aberrante: l’esame di Stato è affidato a presidenti e commissari scelti in modo del tutto casuale. Il criterio principale che gli uffici provinciali devono seguire è che un commissario esterno abbia avuto anche lui, nel corso dell’anno, una classe terminale, ma non si vede come questo garantisca una particolare qualità nel lavoro da svolgere. Io quest’anno un classe terminale non ce l’avevo e quindi niente commissione, due anni fa ce l’avevo e a quanto pare ero perfetto per fare il commissario esterno. Mah.
A parte questo, i commissari non ricevono alcun tipo di formazione particolare per svolgere il loro ruolo. Si dà per inteso che valutare gli studenti alla maturità sia più o meno la stessa cosa che farlo durante l’anno. Peccato che le prove, sia scritte sia orali, siano peculiari dell’esame e diverse da quelle d’aula, tanto che si rende necessario fare simulazioni ed esercitazioni preparatorie. Solo alla maturità, inoltre, la correzione è collegiale, laddove durante l’anno è strettamente personale (tralascio qui di approfondire questa strana collegialità, che replica le storture che di solito si vedono nei consigli di classe).
In tutta la storia repubblicana, e nonostante interminabili ed infuocatissimi dibattiti sull’importanza del rigore valutativo, a nessuno, al ministero o altrove, è venuto in mente che i commissari potrebbero essere formati specificamente ed utilizzati continuativamente, in maniera strutturale. Sarebbe un compito perfetto per cominciare a creare una carriera docenti, dato che un tale lavoro si attaglierebbe perfettamente alla figura di un docente senior.
Nei test e nelle valutazioni più serie, come ad esempio per le lingue straniere (Cambridge, Goethe Institute, ecc.), gli esaminatori sono figure professionali ben delineate e a nessuno verrebbe in mente di affidare i test alle prime persone che passano. Noi italiani, che pure ci riempiamo la bocca con il valore della scuola e con il rigore che vorremmo trionfasse in tutte le aule, invece ce ne freghiamo allegramente. Ma passiamo oltre.
La novità di quest’anno è che al posto della cosiddetta tesina c’è l’assegnazione di un argomento da sviluppare al momento. Questa novità è tutta procedurale, perché lo spirito di fondo rimane immutato: ci si vuole assicurare che gli studenti siano il più multidisciplinari possibile e che sappiano fare dei “collegamenti” tra i vari argomenti, cercando di mettere in mostra non tanto il proprio bagaglio di conoscenze, quanto le proprie competenze, così come sono definite nei profili dei vari indirizzi scolastici. Il mio dubbio qui non riguarda non tanto la specifica innovazione colloquio, quanto l’approccio di fondo. La questione delle competenze (non soltanto “sapere”, ma “saper usare le nozioni apprese” e “risolvere problemi”) è centrale nel dibattito contemporaneo sulla didattica e sulla pedagogia, ma ci sono molti dubbi che un esame come quello di Stato possa cogliere pienamente, e valutare, quei “soft skills” che tutti cercano, ma spesso non sono di chiarissima definizione, almeno a livello operativo. Come valutare la capacità di lavorare in gruppo, alla maturità? Come valutare la capacità di imparare ad usare nuovi strumenti? Non sono domande a cui è facile rispondere.
Anche la capacità di “fare collegamenti”, che dovrebbe essere dimostrazione della propria “elasticità mentale”, appare ai miei occhi piuttosto sfuggente. Cosa distingue un buon collegamento da uno gratuito o superficiale? In vista di quale scopo o secondo quale principio si devono fare i collegamenti? L’analogia è un buon criterio? L’antinomia? La complementarietà? O tutti quanti? E soprattutto: è davvero necessario e sensato fare collegamenti tra materie spesso disparatissime, come, che so, letteratura italiana e produzioni vegetali o fisica e marketing? Un abilità del genere potrebbe venir fuori in un contesto reale, o in un tirocinio, ma difficilmente si può pensare di scovarla e valutarla in quei 45-50 minuti di colloquio in cui un candidato deve danzare tra le materie, toccandole tutte ma evitando di scadere nel nozionismo.
E’ necessario sottlineare che la normativa non richiede di toccarle proprio tutte, le materie o, peggio ancora, di collegarle a tutti i costi, ma purtroppo tutta la cornice spinge in questa direzione, e proprio in virtù della collegialità della valutazione, cui tutti i docenti partecipano paritariamente: per un candidato è rischioso tralasciare la materia di un commissario o non dedicargli poco spazio, perché questo renderebbe difficile al commissario esprimere una valutazione pienamente positiva, obbligandolo ad esprimersi su materie che non gli competono (senza contare l’offesa all’amor proprio del commissario, che per quanto puerile non è da sottovalutare).
La tesina permetteva forse una maggiore riflessività, perché veniva preparata a monte. Certo, c’era il pericolo, talora la certezza, che qualcuno se la scaricasse da internet o se la facesse fare da altri, ma il fatto di esporla, o almeno “difenderla”, davanti alla commissione richiedeva un certo dispiego, per l’appunto, di competenze trasversali. Il fatto di dover costruire al momento una rete di collegamenti a partire da uno stimolo proposto dalla commissione (quello estratto da una delle tre famose buste) rende la cosa più superficiale ed estemporanea. Forse la rende più onesta e originale, e probabilmente chi ha elaborato questa formula ha pensato che in tal modo uno studente deve finalmente aguzzare l’ingegno, ma non mi sembra che questo corrisponda a quel che ho visto in questi giorni. Soltanto nell’indirizzo turistico ho visto qualcosa che si avvicinava a questo ideale, perché il turismo è intrinsecamente poliedrico e multidisciplinare, con possibilità di raccordi non scontati e, da un certo punto di vista, effettivamente concreti: quando a partire da una brochure turistica si passa ad immaginare un possibile pacchetto turistico che tenga insieme cultura, storia e natura, e con un occhio al budget e al turismo sostenibile, competenze e multidisciplinarietà si impongono “naturalmente”.
In tutte le altre commissioni ho visto semplicemente dei collegamenti che permettessero di ripescare un argomento del programma svolto in ogni materia. Si può anche valutare l’originalità delle libere associazioni, ma alla fine il colloquio rimane una somma di domande che invece di essere state poste in maniera casuale hanno un filo conduttore più o meno chiaro. Nella commissione di liceo classico cui ho assistito, poi, questo era particolarmente esile, deciso più dai professori che dallo studente, con il risultato che alla fine ho sentito gli stessi vetusti argomenti che da sempre si ripetono al classico, in particolare nelle materie letterarie (a latere vorrei poi avviare una riflessione sul fatto che il “classico” che si insegna nei licei classici appare polveroso e desueto non in rapporto agli altri indirizzi di scuola, ma a quello che nel frattempo sono diventate le scienze dell’antichità, apertesi a nuovi sviluppi di cui nel liceo classico non sembra importare a nessuno -ma questo non è in tema con il presente articolo).
La conclusione? I ragazzi assorbiranno anche questa innovazione, i colloqui continueranno ad essere approssimati e la valutazione rimarrà superficiale ed estemporanea. Non varranno a cambiare il corso delle cose né la domanda di prammatica su “Cittadinanza e Costituzione né l’esposizione sull’alternanza scuola-lavoro, i cui stage andrebbero approfonditi ben diversamente dalle sintetiche e superficiali relazioni cui ho assistito, prive di qualsiasi riscontro oggettivo come sono.
L’anno prossimo toccherà a me, chissà come andrà.
[…] *pubblicato sulla rivista iMille […]