martedì
14 MagSu Cittadinanza e Costituzione, una modesta proposta sulla disciplina a scuola
di Francesco Rocchi
La Camera ha dunque approvato una legge che, con un’ora settimanale spalmata sul monte-ore attuale delle scuole superiori, ha il nobile intento di instillare il senso civico e la pubblica virtù tra i nostri studenti.
Non otterrà nessun risultato. Nonostante le intenzioni più che lodevoli, la politica ha dimostrato una volta di più di non essere in grado di passare dai principi ideali alla realizzazione concreta, ottenendo soltanto di fare danni.
Inserire questa ora nell’orario altrimenti rimasto uguale e produrre una seria valutazione (che farà media!) sarà estremamente farraginoso. Il problema vero, però, è che gli effetti di questa rinnovellata educazione civica saranno sostanzialmente nulli anche a fronte di una realizzazione impeccabile e priva di intoppi. Il perché è presto detto.
Ciò che si vorrebbe è portare i nostri studenti ad essere buoni cittadini: consapevoli dei loro diritti e dei loro doveri, rispettosi dei beni pubblici, capaci di civile convivenza e in grado di contribuire positiviamente allo sviluppo complessivo della società italiana.
Il cuore di una cittadinanza così concepita, però, non è un insieme strutturato di nozioni quali sono le altre materie che si insegnano a scuola. E’ un animus quello che si vuole insegnare, un atteggiamento. Non si impara assegnando pagine da studiare, né con progetti didattici. Si crea piuttosto creando condizioni ambientali in cui essere bravi cittadini sia una scelta non solo possibile ma anche desiderabile, e in cui essere trascurati o poco rispettosi sia invece una scelta perdente. Il punto è proprio nel termine “scelta”: siccome virtuosi si può esserlo soltanto volontariamente, una scuola che voglia creare uno spirito di cittadinanza deve offrire ai suoi studenti la possibilità di comportarsi liberamente, fare le proprie scelte e prendersene la responsabilità.
Oggi la scuola italiana non offre questo tipo di libertà a nessun livello. La scuola italiana è e rimane un meccanismo automatizzato che deve procedere a prescindere da qualsiasi altra considerazione. Non c’è spazio per la socializzazione, se non nei pochi minuti dell’intervallo, figurarsi per la libertà. Non c’è spazio per l’autonomia degli studenti.
In realtà, fosse solo che la scuola italiana non incentiva la buona cittadinanza, la situazione non sarebbe nemmeno tanto male. La verità è che la scuola italiana, ben lungi dal contrastare il cinismo burocratico quotidiano, lo culla e lo alimenta.
Per la stragrande maggioranza degli studenti la scuola non è un luogo che essi sentano proprio, o cui vogliano contribuire. E’ una naja, un male necessario, talvolta da vivere anche con allegra goliardia e talvolta con rabbia sorda, ma non uno nel quale mettersi in discussione. E’ anche un luogo vissuto spessissimo come iniquo e vessatorio (talora con insopportabili accenti di vittimismo da parte degli studenti). Nel senso comune studentesco, quindi, imbrogliare la scuola non è diverso dal rubare ai ladri: non si fa peccato.
Si vede bene che una scuola che è una tale palestra di “educazione cinica” non muterà le convinzioni profonde degli studenti con un’ora settimanale di buoni insegnamenti. Ci vuole qualcosa di ben più profondo e radicale, che tenga conto del fatto che la scuola non solo è la prima istituzione dello Stato con cui si ha a che fare nella vita, ma anche quella con cui si ha il rapporto di gran lunga più intenso ed organico.
E’ qui che bisogna lavorare. La fiducia e il rispetto verso lo Stato, inteso non come moloch distante e vessatorio, ma come comunità di concittadini, si costruiscono sul campo offrendoli in primo luogo agli studenti. E’ assai difficile per gli studenti rispettare una scuola che generalmente non solo cade materialmente a pezzi, ma è anche sorda alle esigenze, ai desideri e ai talenti che loro possono esprimere.
Con questo non si vuole riproporre il frusto mito sessantottino di una scuola basata su un allegro volontarismo, ma affermare la necessità di avere scuole che gli studenti possano vivere come una seconda casa, nella quale il loro ruolo non è soltanto quello di stare seduti in un banco, ma di impegnarsi in tante attività in cui la cooperazione e la responsabilità individuali siano il perno su cui gira tutto il resto. Ma questo è più facile da spiegare con alcuni esempi, dai quali poi possiamo passare a parlare dell’altro elemento fondamentale di una scuola di cittadinanza efficiente: un sano mantenimento della disciplina.
Vogliamo insegnare il valore della puntualità? E’ inutile provarci con i libretti delle giustificazioni, le note o le comunicazioni ai genitori. Piuttosto, organizziamo un torneo di calcio in cui chi non si presenta all’orario convenuto perde automaticamente la partita. Vogliamo insegnare la cooperazione e la responsabilità individuale all’interno di un lavoro di gruppo? Inutile fare prediche o minacciare votacci: organizziamo piuttosto una rappresentazione teatrale a partecipazione volontaria. Chi non impara la parte o non si presenta alle prove mette in pericolo il lavoro di tutti, quindi o ci si adatta o si è fuori. Credo sia superfluo sottolineare quante centinaia di attività si prestino a fornire una vera educazione di cittadinanza (e avere allo stesso tempo ricadute profonde e positive sulle materie disciplinari, due piccioni con una fava). La scelta su quali attività seguire sarebbe libera, mentre sarebbe obbligatorio farne nel numero stabilito dalla scuola.
Non è soltanto nelle attività “extra” che si costruisce uno spirito civico degno del nome. Lo si costruisce in primo luogo in una routine quotidiana che sia razionale e gestibile, laddove quella attuale è cervellotica e confusa. L’esempio principe dell’attuale inefficienza è la valutazione: interrogazioni, compiti ed esercitazioni sono sparpagliati durante l’anno e valutati con un goffo sistema goffo fatto di medie, recuperi e contrattazioni in sede di scrutinio. Un delirio esecrato da tutti e che esaurisce docenti, studenti e famiglie senza peraltro produrre risultati particolarmente affidabili.
La soluzione è semplice, e assai più formativa: all’inizio di ogni anno si pongono gli obiettivi didattici, con i programmi e materiali che saranno oggetto di esame al termine delle lezioni, e il resto dell’anno diventa una lunga e serrata preparazione agli esami finali (da organizzare in modo che siano seri, una cosa non difficile da realizzare). Gli studenti non dovranno fare salti mortali per tenere insieme quelle medie che poi in sede di scrutinio sono sempre oggetto di un indegno mercato delle vacche, i docenti potranno dedicarsi soltanto alla didattica vera e propria. E’ un sistema non solo più elastico, ma in cui ogni studente è tenuto ad imparare ad organizzarsi e a gestirsi in autonomia, sia pure con tutto l’aiuto e la supervisione che i docenti possono e devono offrire. E’ anche un sistema che spegne sul nascere la conflittualità tra studenti e docenti, ora a livelli stellari.
Veniamo ora alla nostra modesta proposta sulla disciplina. Essa muove da una considerazione: lo Stato offre con l’istruzione un servizio non meno fondamentale della sanità o della sicurezza, ma tale servizio, giustamente e doverosamente gratuito per chi ne fruisce, ha un costo per lo Stato, ovvero per i contribuenti. Chi ne spreca o abusa, reca un danno a tutta la collettività, esattamente come chi in ospedale prenota una visita e poi non si presenta. Nella sanità la soluzione è semplice: chi non si presenta paga a prezzo pieno come se avesse fruito del servizio. Allo stesso modo, è giusto che chi abusa o spreca le risorse per lui investite nell’attività scolastica rifonda la collettività per il danno causato.
Questo vuol dire che quei comportamenti che oggi la scuola punisce con note e sospensioni -i comportamenti dirompenti- dovrebbero essere sanzionati con multe. Ovviamente con ciò non si intende trasformare i docenti in vigili urbani: il sistema deve essere ben calibrato.
Note e sospensioni e l’abbassamento del voto di condotta raramente hanno conseguenze reali, anche perché la bocciatura per ragioni disciplinari è un provvedimento talmente grave che le scuole esitano ad applicarlo, e si riduce ad essere impiegato in casi in cui vi sia un rilievo penale. Non è una novità che oggi i docenti, per colpa di questa assai spuntata panoplia di strumenti sanzionatori, avvertano una profondissima frustrazione a fronte di comportamenti inadeguati, distruttivi, insultanti e, quel che è peggio, ripetuti.
La minaccia di una sanzione pecuniaria ha più senso, possiede la solida logica testé illustrata, ed è sicuramente più sentita dalle famiglie.
Per evitare abusi
è ovvio che le multe debbano essere il risultato di un procedura ponderata e
debbano essere inflitte soltanto a fronte di infrazioni ripetute e registrate
da più docenti, con l’autorizzazione del CDC (in cui è presente il preside) e
soltanto nel caso che il “danno” non sia stato ripagato con attività
sociali utili da svolgere a scuola in orario extracurricolare (secondo il
modello della detention anglosassone,
assai più formativa delle nostre anodine note disciplinari): questo permette di
far sì che il “danno economico” venga imposto alle famiglie solo e soltanto
quando queste si siano rifiutate di sottoporre il figlio a punizioni non
pecuniarie. Aggiungo anche che l’importo dovrebbe essere parametrato all’ISEE.
Questo è il succo della mia modesta proposta. E’ un cambiamento di mentalità
grossa e ho come l’impressione che possa spaventare chi pensa che la scuola
possa essere riformata con qualche ritocco ed una buona predica. Però se
vogliamo cambiare le cose, dobbiamo pensarle
diversamente.
[…] *pubblicato sulla rivista iMille […]