martedì
15 GenGennaio a scuola, tempo di scrutini
di Francesco Rocchi.
Dopo le vacanze natalizie, per tante scuole, quasi tutte, è tempo di voti e pagelle. Sarà la solita agonia di consigli di classe ridotti a bassa gestione contabile, con sovrappiù di stress nel rapporto con le famiglie.
Qualche volta questo nervosismo tracima e produce casi abbastanza curiosi da attirare l’attenzione dei giornali, avviando un pubblico dibattito. E sebbene partire dai casi di cronaca per parlare di scuola sia rischioso, visto che si parla sempre dell’eccezionale ed abnorme, l’ultima notizia di cronaca scolastica, la querela di uno studente contro il prof. che gli ha messo 3 [link], ha se non altro il merito di portare alla luce una serie di dinamiche nel rapporto scuola-studenti-famiglie su cui è bene cominciare a riflettere. E val la pena di ripercorrere quel che è stato riferito dell’episodio, che pure, per ora, è finito con un’ovvia archiviazione.
Il protagonista è uno studente che, soddisfatto dei voti già presi, non voleva essere interrogato, lo è stato lo stesso (previo ragionevole avvertimento) e ha preso 3, con relativo abbassamento della media. Seguono protesta e invocazione dell’intervento della magistratura.
Sì, è tutto molto surreale e decisamente sproporzionato, ma facciamo lo sforzo di prendere tutto questo sul serio.
Quel che ha suscitato l’ira dello studente e della famiglia è la rovina della media. Questa arrabbiatura è la prima stortura, anche se non l’unica. Il voto sulla pagella di fine anno non è la media matematica dei voti presi, ma un giudizio globale che si intende comprensivo di tanti fattori diversi, come ad esempio la presenza di impegno, di miglioramento nel tempo, ecc. La media, di fatto, è soltanto il punto di partenza per fare poi “arrotondamenti” anche vistosi, in genere più verso l’alto che verso il basso (anche perché sarebbe assai difficile giustificare un 5 in pagella a chi ha la media del 6).
Il professore che ha messo il 3 di tale voto deve però avere tenuto conto, nel calcolo finale, altrimenti non si spiegherebbe la rabbia della famiglia. E’ appena il caso di notare che in ciò il prof. ha operato in maniera perfettamente legittima (come ha evidentemente opinato anche la magistratura) e che nessuno studente o famiglia può accampare diritti su una media “pre-assegnata” verso cui la valutazione dovrebbe in qualche modo convergere. E però -ed è questa la cosa strana- questa strana aspettativa è diffusissima. Le famiglie, insieme con gli studenti, si aspettano che la valutazione proceda in maniera indisturbata verso la conferma dei propri personali bias, e tutto quello che contrasta con essi è il caso che venga accantonato.
Possiamo considerare tutto questo come un segno del declino della nostra civiltà (abbiamo fior di opinionisti che amano questo genere di approccio), ma la realtà è un po’ più complessa: è l’organizzazione scolastica che contribuisce a creare queste aspettative.
Nella scuola italiana la valutazione è, per così dire, in itinere. Apprendimento e valutazione si sovrappongono e confondono nella prassi quotidiana: i prof. le alternano, dedicando un po’ di tempo a spiegare e un po’ a interrogare un giorno una persona e quello dopo un’altra, fin quando, piano piano, non si forma una batteria di voti (da due a cinque per quadrimestre, grosso modo) da cui desumere il voto complessivo finale di ogni studente. Se le prove scritte hanno una qualche forma di omogeneità (tutti fanno lo stesso compito nello stesso momento), le valutazioni orali sono oscillantissime.
Siccome c’è un numero minimo obbligatorio di voti da mettere (quello che la scuola e il ministero ritengano “congruo”) ma non uno massimo, nel momento in cui le cose per uno studente cominciano ad andar male, si cerca generalmente di fargli recuperare le insufficienze con nuove interrogazioni e nuovi voti.
Anche questa è una stortura: la valutazione richiede tempo, interrompe il lavoro di apprendimento ed è un’operazione assai delicata. Mettere voti a mo’ di toppa, spesso di fretta (gli scrutini arrivano sempre troppo presto, e gli studenti sono sempre troppi) non rende un buon servizio agli studenti.
Peggio ancora, convince gli studenti che la valutazione possa essere facilmente manipolata -e nei fatti spesso lo è. Non dare ad uno studente la possibilità di recuperare viene vista come una pratica didattica scorretta (“Come, non si vuol tener conto degli sforzi dello studente!?”), ma questo mette un docente in difficoltà: quel che per alcuni studenti è un sincero tentativo di recuperare, per altri diventa una maniera strumentale di gestirsi il calendario delle valutazioni nella maniera più comoda (e facile, visto che chi non si è sottratto alla valutazione fa da cavia a chi si propone di venire dopo). Quale professore non ha sentito parlare di “assenze strategiche”?
Nel parlare di queste cose con docenti o con esperti, la risposta media che mi arriva è che “bisogna trovare un equilibrio”. Forse, ma rimane il fatto che la ricerca dell’equilibrio parte da ragioni del tutto diverse da quelle di una didattica efficace e risponde soltanto alla necessità amministrativa di aver un “congruo” numero di voti nonostante uno studente possa essersi sottratto in tutti i modi alla valutazione.
E non c’è soltanto il problema delle insufficienze da “recuperare”: la “salvaguardia della media” porta gli studenti ad almeno un altro comportamento assai diffuso: quello di evitare qualsiasi forma di valutazione dopo che si è raggiunta la media voluta. Immaginiamo una situazione tipica: un professore conta di fare tre compiti in classe per quadrimestre, ma uno studente che ha preso 8 ai primi due compiti non è sicuro di prendere 8 anche all’ultimo. La possibilità di prendere un voto più basso e rovinarsi la media dell’8 è concreta. Soluzione? Saltare il compito. Il prof. non protesterà più di tanto (lui i compiti in classe li ha organizzati e proposti), lo studente si riterrà soddisfatto e in sede di scrutinio la cosa difficilmente emergerà.
Di incongruenze se ne potrebbero notare diverse altre (a cominciare dal fatto che esprimere valutazioni in itinere, cioé su percorsi di apprendimento incompleti, non ha molto senso), ma la cosa importante da chiedersi è perché gli studenti siano così ossessionati dalle medie. La risposta è ovvia: le medie decidono promozioni e bocciature (o debiti formativi) e la media dei voti nelle varie materie, al triennio, influisce sul voto di maturità, ragion per cui quel 3 dato dal prof. del nostro caso di cronaca può aver compromesso senza appello il 100 della maturità che il querelante andrà a fare tra due anni (le cronache parlano di uno studente modello).
Tutto è subordinato a questo. Ad essere importanti sono i numeri, non quello che si è imparato. Qualsiasi metodo per arrivarvi è buono: copiare, assentarsi, accampare scuse e contrattare accanitamente su voti e programmi da svolgere. Pochi si concentrano su come imparare meglio o di più.
E’ solo l’abitudine che ci impedisce di vedere in tutto questo una quotidiana follia. Ma basta farci caso per non riuscire più a riconciliarsi con questa maniera sgangherata di lavorare.
Cosa si può fare per uscirne? Già oggi modi per contenere l’opportunismo valutativo in classe ce ne sono, e ognuno può escogitare i suoi (ad es. rendere molto difficili le prove di recupero), ma è anche necessario pensare ad un’alternativa di sistema.
La cosa migliore, e nemmeno difficile da realizzare, è fare esami alla fine di ogni anno. Dopo un anno di lavoro su un programma ben definito sin dall’inizio è legittimo verificare cosa sia stato imparato da uno studente in ogni materia. Ovviamente non si deve arrivare a questo appuntamento alla cieca, bensì dopo esercitazioni e prove che nel corso dell’anno sappiano indirizzare lo studente verso un reale miglioramento, laddove ci siano delle difficoltà.
In questo modo gli studenti non entrano in quella continua spirale di conflittualità con i docenti, sfibrante per tutti, e si concentrano su quel che serve per il test finale -che sarebbe bene far elaborare e correggere anonimamente da una commissione specifica di professori interni, proprio per eliminare ogni residuo di inutile conflittualità. La preoccupazione per il voto sarebbe relegata alla fine dell’anno e il sistema premierebbe la responsabilità di chi si organizza bene e per tempo, mentre ora, al contrario, ad essere valorizzata è quella specie di continua, sfinente contrattazione sui voti anche più trascurabili.
Per rendere il sistema perfetto, poi, l’ideale sarebbe evitare di gettare i voti delle diverse materie nel calderone di una media unificata, sulla base della quale decidere di una promozione o bocciatura generalizzata. Molto meglio promuovere e bocciare materia per materia, facendo ripetere soltanto quelle insufficienti. Questo richiede uno sforzo organizzativo, ma niente di impossibile.
Non dobbiamo andare alla guerra con gli studenti, ma metterli in condizione di studiare sottraendo loro ogni possibile scusa per non farlo. E la maniera migliore è fornire un sistema premiante, efficiente, che li sappia seguire bene e con dedizione. Tutto il contrario di quel che è oggi l’annaspante routine della scuola italiana.
iMille.org – Direttore Raoul Minetti
[…] *pubblicato sulla rivista iMille […]