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28 SetIl difficile equilibrio tra copyright e libertà di rete
di Alessandra Moroni.
Con diritto d’autore o copyright ci si riferisce a quell’insieme di diritti economici e morali spettanti agli autori di opere intellettuali. Recentemente si è tornati a discutere molto della natura e funzione del diritto d’autore, nonché di come meglio declinarne la disciplina nell’era digitale dove la gran parte delle opere è facilmente fruibile e condivisibile online. In particolare, il dibattito si è riacceso in occasione della prospettata adozione a livello europeo di un nuovo testo modificante la Direttiva 2001/29/CE sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società dell’informazione (Direttiva Copyright 2001) attualmente in vigore.
Lo scorso 12 settembre 2018 il Parlamento Europeo ha infatti approvato una bozza iniziale di riforma, che sarà ora oggetto di discussione con il Consiglio per la redazione di un testo finale condiviso da entrambe le istituzioni. Tale testo ha suscitato non poche obiezioni, meritevoli di essere analizzate. Qui di seguito ci si vuole soprattutto soffermare sulle modifiche della responsabilità dei prestatori di servizi della società dell’informazione (intermediari) che si intendono introdurre con la nuova direttiva. A tal fine, pare utile soffermarsi innanzitutto sulla disciplina attualmente esistente a livello europeo, così da individuare e comprendere le criticità da cui muove questo tentativo di riforma.
Copyright oggi
Come anticipato, la materia del diritto d’autore ora è disciplinata dalla Direttiva Copyright 2001. La stessa delinea, tra gli altri, i diritti esclusivi di sfruttamento delle opere intellettuali spettanti ai titolari di copyright: tra questi, acquistano particolare rilevanza il diritto alla riproduzione (art. 2) e il diritto alla comunicazione al pubblico (art. 3). La Direttiva Copyright 2001 tenta altresì di tracciare una linea di equilibrio tra l’esigenza di assicurare un’idonea protezione del diritto d’autore e permettere il funzionamento e lo sviluppo di nuove tecnologie d’informazione. Tuttavia, la relativa dichiarazione d’intenti (Considerando 5) trova limitato conforto nella disciplina poi prevista, che si premura esclusivamente di introdurre un’eccezione di liceità per le c.d. copie effimere, ossia gli atti di riproduzione temporanea che manchino di rilievo economico proprio, siano transitori o accessori e siano parte integrante e essenziale di un processo tecnologico al fine di permettere la trasmissione in rete tra terzi con l’intervento di un intermediario o un utilizzo legittimo (art. 5). Al di fuori di questa limitata ipotesi, è pacifico che attività quali il caricamento di materiale protetto online (uploading) sia da ritenersi atto di riproduzione ai sensi dell’art. 2 della Direttiva in esame.
Nell’era dello sharing diviene poi cruciale l’individuazione degli atti di comunicazione al pubblico. A colmare la lacuna della Direttiva Copyright 2001 è intervenuta la Corte europea di giustizia che ha elaborato una serie di criteri per delimitare l’applicabilità del su citato art. 3 con riguardo alla condivisione online di collegamenti ipertestuali (hyperlink): invero, pur ammettendo che mettere a disposizione su un sito internet dei collegamenti cliccabili verso opere protette è un atto di comunicazione, perché ci sia una violazione del diritto esclusivo del titolare del diritto d’autore è altresì necessario che l’opera sia messa a disposizione a un pubblico “nuovo”, ossia a un pubblico che non era stato preso in considerazione dal titolare del diritto quando ha autorizzato l’iniziale comunicazione dell’opera (C-466/12 Svensson). Secondo la Corte, quindi, il collegamento ipertestuale viola il copyright esclusivamente qualora eluda eventuali restrizioni all’accesso dell’opera volute dal titolare del diritto, mentre sarebbe perfettamente lecito se riportasse a un’opera già dall’origine fruibile liberamente su internet. La Corte ha inoltre precisato che, seppur sia vero che normalmente chi posta un collegamento ipertestuale non sappia se l’opera collegata è stata pubblicata online con o senza il consenso del titolare della privativa, tale conoscenza deve presumersi, salva prova contraria, se chi posta lo fa a fine di profitto (C-160/15 GS Media). Tali interventi della Corte paiono motivati dal duplice desiderio di assicurare un’adeguata protezione del diritto d’autore e di permettere al contempo il normale funzionamento dei servizi d’informazione sviluppatesi nel corso del tempo.
Neutralità degli intermediari
Da quanto sopra esposto si deduce che la violazione del diritto d’autore può avvenire ad opera di un utente che si serva di una piattaforma per condividere materiale elettronico. Invero, attualmente gli intermediari di servizi d’informazioni, inclusi gli host di user-generated-content, sono considerati neutri rispetto alla presenza di materiali illeciti generati o postati dagli utenti sulle loro piattaforme. Si prevede, infatti, che un intermediario possa ritenersi responsabile esclusivamente qualora sia al corrente del fatto che l’attività o l’informazione è illecita e di fatti o circostanze che ne rendono manifesta l’illegalità, ovvero qualora, venuto a conoscenza di tali fatti, non agisca prontamente per rimuovere le informazioni o per disabilitarne l’accesso (art. 14 Direttiva E-Commerce).
Al di fuori di tale limitata ipotesi di responsabilità, si aggiunge solamente la possibilità per gli Stati Membri dell’Unione Europea di prevedere che gli intermediari siano destinatari di provvedimenti inibitori che li obblighino a porre fine a una violazione o impedirla, anche con la rimozione dell’informazione illecita o la disabilitazione dell’accesso alla medesima. Tale opzione, prevista dalla Direttiva Copyright 2001 (art. 8.3) e fondata sulla ragione che spesse volte gli intermediari si trovano nella posizione più idonea a porre fine a attività illecite, è confermata dalla Direttiva 2000/31/CE su taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno (Direttiva E-Commerce) e dalla Direttiva 2004/48/CE sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale (Direttiva Enforcement).
Tuttavia, tale possibilità soggiace a due ordini di limiti. Uno è previsto all’art. 15 della Direttiva E-Commerce, che vieta l’imposizione agli intermediari di un obbligo generale di sorveglianza sulle informazioni che trasmettono o memorizzano, ovvero di un obbligo generale di ricercare attivamente fatti o circostanze che indichino la presenza di attività illecite.
Il secondo limite si rinviene all’art. 3 della Direttiva Enforcement secondo cui “1. Gli Stati membri definiscono le misure, le procedure e i mezzi di ricorso necessari ad assicurare il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale di cui alla presente direttiva. Tali misure, procedure e mezzi di ricorso sono leali ed equi, non inutilmente complessi o costosi e non comportano termini irragionevoli né ritardi ingiustificati. 2. Le misure, le procedure e i mezzi di ricorso sono effettivi, proporzionati e dissuasivi e sono applicati in modo da evitare la creazione di ostacoli al commercio legittimo e da prevedere salvaguardie contro gli abusi.” La portata ambigua di tale seconda disposizione è stata interpretata in chiave costituzionalistica dalla Corte europea di giustizia, che è intervenuta a enucleare l’ulteriore limite a cui soggiacciono i provvedimenti inibitori riferibili agli intermediari in termini di bilanciamento di diritti fondamentali. Dopotutto, i diritti di proprietà e di tutela giudiziaria spettanti al titolare di copyright si scontrano inevitabilmente, da un lato, con il diritto alla libera iniziativa economica facente capo all’intermediario e, dall’altro, con i diritti alla protezione dei propri dati personali e alla vita privata nonché i diritti all’informazione e libertà di espressione degli utenti e dei fruitori del servizio di rete (C-275/06 Promusicae, C-314/12 UPC Telekabel Wien, C-484/14 McFadden). In una serie di casi (C-324/09 L’Oréal v eBay, C-70/10 Scarlet Extended v SABAM, C-360/10 SABAM v Netlog), la Corte si è così pronunciata a sfavore dell’opportunità di imporre agli intermediari azioni volte a prevenire possibili future violazioni da fonti sconosciute (c.d. filtri). Invero, sistemi di controllo preventivo di tutte le informazioni gestite degli intermediari comporterebbero un monitoraggio continuo di tutti gli utenti, in violazione divieto di cui al su citato art. 15 della Direttiva E-Commerce, nonché sarebbero in pieno contrasto con le libertà e i diritti di segno opposto spettanti a intermediari e utenti.
Cosa cambia?
La bozza di direttiva approvata dal Parlamento Europeo lo scorso 12 settembre 2018 muove dal desiderio di aggiornare la disciplina esistente, sopra delineata nei suoi aspetti più essenziali, e di completare e chiarire il quadro normativo alla luce delle innovazioni e del progresso digitale odierno. Tuttavia, in taluni punti pare intervenire a rafforzare i diritti esclusivi dei titolari di copyright, apparentemente dimenticando la necessità di assicurare un meccanismo che permetta di effettuare un sostanziale bilanciamento tra diritti concorrenti, come parzialmente fatto proprio dalla Direttiva Copyright 2001 e come chiaramente affermato dalla Corte di giustizia. Due gli articoli che hanno causato perplessità.
L’art. 11 rafforza i diritti di riproduzione e comunicazione al pubblico prevedendo che i titolari di tali diritti esclusivi ottengano una remunerazione equa e proporzionata per l’utilizzo digitale delle loro pubblicazioni di carattere giornalistico da parte dei prestatori di servizi della società dell’informazione. Vengono esclusi solamente gli usi privati e strettamente non commerciali, nonché i semplici collegamenti ipertestuali accompagnati da singole parole. A ben vedere sembra che tale articolo introduca una nuova prerogativa, già da alcuni nominata link tax, scissa dal diritto di riproduzione vero e proprio, soggetto all’eccezione per copie effimere, e dal diritto di comunicazione, con i corollari individuati dalla Corte di giustizia in termini di “nuovo pubblico” e (presunzione di) “conoscenza”. L’articolo pare inoltre riguardare in modo diretto i c.d. snippet, ossia l’insieme di hyperlink e titolo con qualche parola di cui si servono alcuni aggregatori di informazioni quali Google News. Anche volendo riconoscere che questa previsione persegue il meritevole fine di compensare gli editori di testate giornalistiche per l’uso che viene fatto dei loro contenuti, non si può tacere che questo “compenso” sia indirettamente già ottenuto a fronte dell’ampia diffusione di cui le testate giornalistiche, soprattutto di editori minori, beneficiano grazie agli aggregatori e che gli stessi editori riconoscono, altrimenti potendo (ma non volendo) facilmente evitare l’indicizzazione dei propri materiali.
Il secondo articolo su cui pare opportuno soffermarsi è l’art. 13 relativo all’utilizzo di contenuti protetti da parte di intermediari che memorizzano e danno accesso a grandi quantità di opere e altro materiale caricati dagli utenti. L’art. 13, quindi, interviene a modificare drasticamente lo schema di responsabilità attualmente applicabile ai prestatori di servizi della società dell’informazione. Nei paragrafi precedenti si è infatti visto che gli intermediari sono generalmente neutri nei confronti dei materiali caricati e condivisi dagli utenti; tutt’al più possono essere destinatari di provvedimenti inibitori e essere esposti a responsabilità qualora non provvedano a rimuovere le informazioni o disabilitare l’accesso alle medesime non appena siano a conoscenza della loro illiceità.
Di contro, l’art. 13 qualifica l’attività di intermediazione quale atto di comunicazione al pubblico e, quindi, atto che richiede la preventiva autorizzazione da parte del titolare di copyright. Invero, si prevede che gli intermediari e i titolari dei diritti concludano accordi di licenzia che consentano ai primi di mantenere sulle proprie piattaforme il materiale protetto. Ne consegue che lo schema di responsabilità primaria degli utenti ed eventuale responsabilità secondaria degli intermediari viene sostituito da un approccio che imputa direttamente agli intermediari l’atto di divulgazione di materiale protetto da parte degli utenti. Questo inevitabilmente comporta che gli intermediari, per evitare ogni responsabilità, dovranno controllare preventivamente tutto il materiale caricato e pubblicato sulle proprie piattaforme dagli utenti: lo stesso art. 13 prevede infatti che “i prestatori di servizi di condivisione di contenuti online e i titolari dei diritti cooperano in buona fede per garantire che non siano disponibili nei loro servizi opere o altro materiale protetti non autorizzati”, per poi aggiungere che dovranno essere istituiti anche meccanismi di reclamo e ricorso qualora all’esito di tale cooperazione alcuni contenuti siano rimossi ingiustificatamente. Non solo, quindi, l’art. 13 comporta il necessario monitoraggio generalizzato e preventivo dei contenuti da parte degli intermediari, ma esclude qualsiasi tentativo di bilanciamento del diritto d’autore, riportabile al diritto fondamentale della proprietà, con altri diritti concorrenti e di pari grado, quali la libera iniziativa economica, i diritti alla protezione dei propri dati personali e alla vita privata nonché i diritti all’informazione e libertà di espressione. Insomma: è un andare in direzione opposta al percorso segnato dalle precedenti direttive e precisato dalla Corte europea di giustizia, senza che si possa scorgere alcun beneficio concreto e idoneo a giustificare una tale restrizione alla libera circolazione di contenuti.
Alla luce di quanto sopra, si può concludere che, se da un lato un aggiornamento della normativa in tema di copyright è desiderabile alla luce dello sviluppo digitale verificatosi dal 2001 a oggi, la bozza di testo approvata a inizio settembre dal Parlamento Europeo fa proprio un approccio non del tutto condivisibile perché potenzialmente lesivo dell’effettivo funzionamento del mercato dell’informazione e della varietà di diritti e istanze tutelabili concorrenti.
iMille.org – Direttore Raoul Minetti
[…] *pubblicato sulla rivista iMille […]