giovedì
14 GiuRisposta seria a Galli della Loggia sulla scuola
di Francesco Rocchi.
L’ormai famigerato articolo di Ernesto Galli della Loggia, pieno di ingenue quando non sciocche proposte su come migliorare l’autorevolezza della scuola italiana e dei suoi insegnanti, ha generato parecchie risposte. Quasi tutte ineccepibili sul piano pedagogico (d’altra parte, le idee di Della Loggia sono così inconsistenti che è come sparare sulla Croce Rossa), ma con un difetto fondamentale: hanno preso sul serio Galli della Loggia e quel che dice.
Definire Galli della Loggia reazionario, autoritario, conservatore è sicuramente giusto e legittimo, ma non spiega agli italiani perché le sue proposte siano delle solenni baggianate. Anzi: a metterla su un piano ideologico, si avalla l’idea che le giustissime considerazioni didattiche espresse da tanti in questi giorni siano soltanto appannaggio di un discorso politico schierato da un lato, mentre dall’altro si sostengono altre idee. E’ lo stesso effetto imprevisto in cui incappano i medici quando discutono con qualche ignorante anti-vaccinista: si ritrovano in un dibattito surreale, in cui vale tutto.
Quelle di Della Loggia sono sciocchezze per la semplice ragione che le sue proposte -quasi tutte- non funzionano. Ma qualcuno può veramente pensare che un ragazzino italiano sano di mente si senta intimorito dal fatto che il docente sta su una pedana? Qualcuno riesce immaginarsi uno studente che pensi tra sé “Accidenti, avrei voglia di tirare le palline al compagno di banco, ma il solo vedere quel professore sulla pedana, che saluto alzandomi alla sua entrata, mi dissuade dal farlo”?
Chiarito questo, passiamo a quel che di utile può venire da questa discussione, parlando della reale situazione della scuola italiana e dell’autorevolezza dei suoi professori. Cercherò di non usare alcun tecnicismo o pedagogismo, per evitare quella che può sembrare una semplice argomentazione ad auctoritatem a chi non si occupa di scuola.
Nella mia esperienza, i genitori sono contenti quando trovano di fronte a sé una scuola che funziona e persone disponibili e preparate. L’importanza dell’istruzione e della scuola in Italia non è in discussione. Gli italiani vogliono ancora che i figli vadano bene a scuola. Anzi, si può dire proprio per questo che i genitori italiani abbiano delle aspettative alte sulla scuola.
La frizione nasce o quando queste aspettative sono esagerate (genitori che si aspettano che la scuola faccia il lavoro della famiglia) o quando un genitore non riesce a capire il senso – e i limiti- di quello che viene fatto a scuola. Altre volte quel che la scuola offre è effettivamente incomprensibile, spesso e volentieri perché limiti finanziari, burocratici e organizzativi trasformano anche la didattica più limpida in uno strano Frankestein. E qualche volta i genitori vedono pure delle vere storture, e passano all’attacco.
Veniamo quindi a quel che si può fare per la scuola italiana. Il primo passo sarebbe quello di offrire agli studenti italiani scuole belle, accoglienti, luminose, comode, dotate dei servizi necessari.
E’ una situazione che conoscono anche i sassi, ma soluzioni all’orizzonte non sembrano vedersene. Io ho una mia proposta: oltre a dare più margini di intervento ai presidi, bisognerebbe passare la gestione delle scuole superiori dalle province ai comuni, che sono istituzioni molto più a “misura di scuola” e per le quali il buon funzionamento delle scuole è buona moneta da spendere nella competizione politica, mentre le province, enti di area vasta, hanno una “premura” decisamente più ridotta nei confronti delle singole scuole.
L’altro e più importante ambito di intervento riguarda i professori. La professione oggi è poco attraente, e per più ragioni. La prima è che la retribuzione è frustrantemente bassa; una seconda è l’organizzazione del lavoro che valorizza poco o nulla gli sforzi del lavoro in classe; una terza è la sorda conflittualità in cui il docente si trova di continuo.
Andiamo con ordine. L’aumento stipendiale è una richiesta “giusta”, ma va conquistata, non soltanto pretesa. Oggi è strutturalmente impossibile non già valutare un insegnante, ma semplicemente sapere cosa faccia. Un insegnante auto-certifica il proprio lavoro (compilando il registro) e poi gli unici testimoni del suo lavoro sono gli studenti. Si può elargire uno stipendio da “professionista” in una situazione del genere?
Non sto dicendo di valutare i professori e distribuire premi, bensì che sarà più facile avere il favore dell’opinione pubblica il giorno che non lavoreremo più da soli in classe, ma in team, con numerosi riunioni in cui si progettano insieme le lezioni, si parla di didattica (non di burocrazia scolastica) e si studiano caso per caso le necessità degli studenti, facendo del nostro lavoro -e dei nostri sforzi- qualcosa di rendicontabile e di visibile.
In una scuola in cui i consigli di classe si riuniscono ogni settimana e progettano, costruiscono e propongono, i docenti sono anche in grado di fare maggiore pressione per avere strumenti, tempi e spazi adeguati al compito cui si è chiamati. In questo modo i docenti sarebbero sottratti alla loro solitudine lavorativa e avrebbero un luogo in cui la loro creatività didattica e le loro competenze sarebbero finalmente riconosciute, con uno scambio di idee e di pratiche che ora è molto labile o inesistente. E con questo verremmo incontro anche alla seconda causa della scarsa attrattività del lavoro di insegnante, ovvero la sua rigida organizzazione più burocratica che didattica. Il potenziamento inventato dalla Buona Scuola offre dei margini di intervento interessanti, in tal senso. Sarebbe anche un modo efficace di premiare chi si aggiorna e vuole uscire dal comodo nido delle proprie “classi di concorso”.
Sarebbe poi importante che chi più si impegna e più si forma per venire incontro alla progettazione implementazione didattica potesse coprire il ruolo di docente tutor o senior, con relativa progressione di carriera e stipendiale, ma senza bonus estemporanei e “competitivi”. Nel 2016 Mauro Piras ha avanzato una proposta (link al pdf) molto valida da questo punto di vista.
Tenuto conto di tutto questo, si possono comunque fare alcune proposte per aumentare lo stipendio dei docenti. Una prima, sia pur limitata misura sarebbe quella di usare i soldi ora usati per il bonus premiale (quello assegnato dai presidi) per un aumento complessivo degli stipendi, magari concentrandolo su alcune fasce di anzianità piuttosto che uniformemente a tutti. Lo stanziamento iniziale era 200 milioni di euro, poi scesi a 112. Non sono tantissimi soldi, ma è qualcosa, cui si potrebbero aggiungere i circa 80 milioni che si risparmierebbero abolendo l’ormai frusta “maturità”, che promuove il 99% degli studenti ed è quindi inutile.
Una soluzione rapida per aumentare ai docenti lo stipendio senza ulteriori aggravi, infine, sarebbe quella di aumentare a tutti il monte ore settimanale, a parità di paga oraria, ma con il proporzionale aumento di stipendio che le ore aggiuntive comporterebbero. Questo porterebbe a comprimere le assunzioni per il futuro, ma per questo non c’è mai stato momento migliore come quello attuale, ora che i precari storici sono stati tutti assunti. Il lavoro risulterebbe più pesante, ma con una gestione oculata la cosa è fattibilissima (soprattutto se si includono le ore di potenziamento).
Un mio personale pallino, aggiungo, sarebbe quello di trasferire ai docenti alcune funzioni ora in capo agli ATA: assistenza tecnico-laboratoriale, sorveglianza e altre mansioni del genere sarebbero svolte senz’altro meglio dai docenti che da personale non altrimenti impegnato nella didattica -e spesso non formato di conseguenza.
Infine, la conflittualità: le relazioni con gli studenti, e con le famiglie, sono compromesse dal fatto che i professori, oltre ad essere gli “allenatori” degli studenti, ne sono anche i “giudici”. E’ questo che crea una continua tensione in classe, aggravata dal fatto che gli insegnanti sono soli in classe a gestire un sistema di valutazione arcaico: gli studenti, nell’autoreferenzialità della classe, vivono i voti, soprattutto come quelli negativi, come un riflesso della loro relazione personale con il docente, non come un’analisi spassionata ed obiettiva delle carenze e dei punti di forza della loro preparazione.
Il massimo dell’esasperazione avviene con i voti finali, che decidono la promozione e la bocciatura ma sono stabiliti attraverso l’incongruo mercanteggiamento degli scrutini collegiali. Meglio per tutti sarebbe abolire lo spettro che spaventa gli studenti, ovvero la bocciatura “totale” (ripetere tutte le materie dell’anno precedente), sostituendola con la sola ripetizione delle materie insufficienti, con semplici corsi di recupero per insufficienze non gravi.
La decisione su queste bocciature mirate dovrebbe infine passare non dalla valutazione in itinere attuale, ma da esami interni annuali o semestrali corretti in via anonima da un’apposita commissione, metodo che non solo è molto più obiettivo, ma libera molte energie nella vita d’aula, dando ai docenti una posizione molto meno ambigua e responsabilizzando gli studenti nella gestione della propria vita scolastica.
Ecco, potrei andare avanti a lungo. Ma se potessimo discutere di queste cose piuttosto che delle bizzarrie di un casuale passante come Galli della Loggia, forse il dibattito ne guadagnerebbe.
iMille.org – Direttore Raoul Minetti
1 comment
Dunque, in buona sostanza, la proposta è spingersi dove neanche la Buona Scuola ha osato: ancora più potere ai presidi, federalismo scolastico….
Nessuna risposta in merito al carattere ludocentrico dei neopedagogismi, alla panacea tecnologica, le vere cause della destabilizzazione della funzione docente ormai al servizio di quelli che la legge 107 definisce stakeholders, portatori di intetessi, ergo, clienti. Non ci sono più gli studenti: dunque, che senso ha rispettare gli insegnanti?
Dare più poteri ai presidi, alle province e ai comuni che cosa risolverebbe? È una mentalità che deve cambiare.
Galli della Loggia ha senz’altro esagerato, ma chi ha frequentato la scuola quando era seria, fa fatica a vedere lo scempio attuale.