Turchia e Unione Europea. Lo stato dei rapporti
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Turchia e Unione Europea. Lo stato dei rapporti

Turchia e Unione Europea. Lo stato dei rapporti

di Kevin Pentrelli.

La Repubblica di Turchia cerca di approfondire le relazioni con la Comunità Economica Europea (oggi Unione Europea) sin dal 1959, e dal 1964 è in vigore un Accordo di Associazione fra la Turchia e la CEE, l’Accordo di Ankara. Nel 1995 la Repubblica di Turchia e l’Unione Europea hanno sottoscritto un’Unione Doganale e il 12 dicembre 1999 il Consiglio Europeo di Helsinki ha riconosciuto alla Turchia lo status di candidato ufficiale all’adesione all’Unione Europea. Dopo l’avvio ufficiale il 3 ottobre 2005, i negoziati per l’adesione completa sono andati per le lunghe, svolgendosi fra avvicinamenti, allontanamenti e contraddizioni da ambo le parti. Come reazione a quelle che l’opinione pubblica europea considera misure repressive sproporzionate, adottate in Turchia a seguito del fallito colpo di stato del 15 luglio 2016, il 24 novembre 2016 il Parlamento Europeo ha votato una risoluzione di sospensione dei negoziati di adesione, adducendo motivazioni di mancato rispetto della libertà di stampa, dei diritti umani e dello stato di diritto: questa risoluzione, seppur non vincolante, rappresenta ad oggi l’ostacolo maggiore all’adesione della Turchia all’UE.

Nonostante il congelamento de facto dei negoziati, operano diverse istituzioni per l’attuazione dell’Accordo di Ankara, volte a garantire il dialogo politico e la cooperazione nei settori più disparati. Inoltre, la Turchia riceve dall’UE 1,5 miliardi di euro per il periodo 2014-2020 da investire nella democrazia, nello stato di diritto e nei diritti umani, circa 600 milioni di euro all’anno come fondi pre-adesione e 3 miliardi di euro per gestire i rifugiati siriani: quest’ultimo accordo impegna l’UE ad accogliere un rifugiato siriano che abbia presentato regolarmente domanda di asilo per ogni migrante irregolare di cui la Turchia prevenga e ostacoli l’ingresso irregolare nell’UE, accogliendolo sul proprio suolo.
Lo stallo delle relazioni UE-Turchia si intreccia col dibattito circa le finalità del processo di integrazione europea: in generale, i membri dell’UE non desiderosi di andare oltre l’integrazione economica sono più favorevoli all’adesione turca rispetto ai membri che sostengono un’unione politica più approfondita, in quanto l’ingresso della Turchia diluirebbe ulteriormente l’identità europea. Circa l’opportunità o meno dell’adesione della Turchia all’UE, per la quale resta comunque un candidato ufficiale, non c’è quindi unanimità né fra gli Stati membri né nell’opinione pubblica europei.

Fra le ragioni che si opporrebbero all’ingresso della Turchia si fa notare, da parte di alcuni, che solo il 3% del territorio turco si trova in Europa, e un allargamento dell’Unione oltre i confini del Continente favorirebbe l’ingresso di altri Paesi del Maghreb e del Medio Oriente. Contando oltre 80 milioni di abitanti, alla Turchia spetterebbero tanti seggi nelle istituzioni europee quanti ne ha la Germania, che ne detiene attualmente il maggior numero e pertanto è restia, se non ostile, ad un allargamento che destabilizzerebbe i già difficili equilibri raggiunti all’interno delle istituzioni, o che danneggerebbe piuttosto il primato della Germania stessa. Dal punto di vista economico, la Turchia è un Paese povero, e il suo ingresso nell’UE concentrerebbe su di sé ingenti risorse economiche a scapito delle regioni più arretrate d’Europa, ponendo sotto stress il sistema dei fondi strutturali e la politica agricola, già sotto pressione a seguito dell’allargamento verso l’Europa orientale. Una parte dell’opinione pubblica europea è inoltre contraria all’ingresso di un Paese islamico e culturalmente in contraddizione con gli usi e costumi europeo-occidentali.

Altre questioni irrisolte concernono il genocidio degli armeni, la questione delle minoranze, in particolare curde, le limitazioni alle libertà civili e la questione di Cipro. La Francia condiziona il suo assenso all’ingresso della Turchia al riconoscimento ufficiale, da parte del governo turco, del genocidio degli armeni nel 1915, mentre il governo turco respinge tale riconoscimento come un requisito per l’adesione. Quanto alla questione di Cipro, essa ruota attorno all’invasione di Cipro del 1974 da parte della Turchia, al conseguente movimento di rifugiati lungo entrambi i lati della Linea Verde e all’istituzione dell’auto-proclamata Repubblica Turca di Cipro del Nord, riconosciuta unicamente dalla Turchia. A ciò si aggiungono le relazioni difficili con la Grecia e il rifiuto, da parte del governo turco, di consentire la libera circolazione di navi e aerei greco-ciprioti in applicazione dell’unione doganale finché l’UE non pone termine all’isolamento internazionale di Cipro del Nord.

In politica estera, si adducono ragioni di carattere geo-politico. In primo luogo, la Turchia confina con aree molto “calde”, caratterizzate da guerre e questioni molto spinose che diverrebbero di pertinenza europea, portando peraltro problemi di sicurezza, mentre la politica estera europea è già incerta e divisa, senza che l’ingresso di un nuovo membro acuisca le già problematiche divisioni ideologiche interne all’Unione. In secondo luogo, ha suscitato una reazione negativa da parte dell’Europa l’offensiva turca in Siria contro la YPG, considerata un’organizzazione terroristica dal presidente turco Erdogan ma non dall’Europa, e alleato chiave degli USA nella guerra contro l’Isis. Ancora, una motivazione che non passa mai di moda è la questione dell’immigrazione: fra i detrattori dell’adesione turca all’UE, è diffuso il timore che la conseguente apertura delle frontiere si traduca in milioni di immigrati nei Paesi più ricchi, per giunta immigrati di religione musulmana.

Oltre a queste ragioni, attualmente l’UE non intende aprire le porte alla Turchia a causa delle misure adottate dal presidente della Turchia Recep Tayyip Erdoğan a seguito del fallito colpo di stato militare di luglio 2016 e a causa del referendum costituzionale del 16 aprile 2017. Il referendum ha consentito una riforma costituzionale che trasforma la Turchia da una repubblica parlamentare ad una repubblica presidenziale: abolendo la figura del primo ministro ed eleggendo direttamente il presidente con un mandato di due anni, il potere esecutivo si concentra nelle mani del capo dello stato, che può ora nominare e revocare ministri e al quale il Parlamento non vota più la fiducia. Secondo l’UE, Erdoğan sta trasformando la Turchia in un regime quantomeno autoritario, il che allontana ulteriormente la prospettiva dell’adesione.

[continua in una seconda puntata sul futuro del processo]

 

iMille.org – Direttore Raoul Minetti
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