martedì
5 DicL’UE e un’Europa in (Fair)mento
di Erika Aloia.
Con l’aumento del tasso di inquinamento, ma soprattutto con l’aumento della sensibilità del consumatore ad aspetti riguardanti la salute dell’ambiente, ed in generale alla cosiddetta sustainability, è cresciuta sempre di più la domanda per il prodotto certificato, biologico, cruelty free e che rispetta la salute del lavoratore. Il legislatore però, dà solitamente risposte a bisogni già esistenti, e molto raramente previene: d’altronde come ci si può assumere la pretesa di conoscere la volontà di chi si rappresenta prima che questa venga manifestata? Nonostante ciò bisogna dire che anche in seguito al manifestarsi di suddetta volontà, chi fa le leggi si è fatto attendere, e a supplire questo vuoto normativo hanno pensato i privati, i quali hanno dato vita ad una serie di organizzazioni non governative volte a garantire, attraverso il rilascio di una serie di certificazioni, quelle qualità richieste dai consumatori. Dagli anni Novanta, tuttavia, le cose sono cambiate anche nel settore pubblico, ed in particolare si è attivata l’Unione Europea. Vediamo dunque quali sono stati i principali cambiamenti, e perché l’intervento del legislatore resta fondamentale in questo settore così delicato.
Innanzitutto, nel giugno del 1991 il Consiglio Europeo emano’ il regolamento dell’Unione europea (CEE) n. 2092/91, relativo alla produzione biologica di prodotti agricoli e all’indicazione di metodo sui prodotti agricoli e sulle derrate alimentari, il quale stabilisce in che modo i prodotti agricoli e designati come prodotti ecologici devono essere coltivati. Nel 1999 tale regolamento venne integrato dal regolamento (CE) n. 1804/1999, ma è con il regolamento del Consiglio Europeo n. 834/2007 del 28 giugno 2007 che è stato fanno un grande passo avanti. Tale regolamento (che abroga il regolamento (CEE) n. 2092/91) è infatti relativo alla produzione biologica e all’etichettatura dei prodotti biologici, e stabilisce il quadro giuridico per tutti i livelli di produzione, distribuzione, controllo ed etichettatura dei prodotti biologici che possono essere offerti e commercializzati nell’UE, determinando il continuo sviluppo della produzione biologica attraverso la fornitura di obiettivi e principi chiaramente definiti. Gli orientamenti generali di produzione, controllo ed etichettatura sono stati stabiliti dal regolamento del Consiglio e possono quindi essere modificati solo dal Consiglio europeo dei ministri dell’agricoltura. Tali norme in materia di etichettatura in relazione all’uso obbligatorio del logo biologico dell’UE sono applicabili dal 1 ° luglio 2010, ed hanno avuto un periodo transitorio fino al 1 ° luglio 2012. L’area di applicabilità del regolamento è quella dei prodotti vivi o non lavorati, degli alimenti trasformati, del cibo per animali, dei semi e del materiale di moltiplicazione, nonché dei prodotti da acquacoltura e lievito, e della raccolta di piante selvatiche e alghe (mentre non sono inclusi i prodotti da caccia e pesca di animali selvatici).
In seguito a tale normativa, il passo successivo è stato fatto con il regolamento (CE) n. 889/2008 della Commissione, in cui vengono regolamentati tutti i livelli di produzione di piante e animali, dalla coltivazione della terra e dal mantenimento degli animali alla lavorazione e alla distribuzione di alimenti biologici e al loro controllo. Entrano in grande dettaglio tecnico e coprono prodotti come lievito, vino, funghi e prodotti dell’acquacoltura. Al regolamento della Commissione sono stati allegati numerosi documenti, tra i quali quelli che trattano di pesticidi, dei requisiti minimi sulla dimensione delle abitazioni e aree di esercizio per il bestiame biologico, dei mangimi per animali non biologici, additivi per mangimi e coadiuvanti tecnologici per la produzione di mangimi composti e premiscele consentiti nell’agricoltura biologica, nonché di prodotti per la pulizia e la disinfezione. Inoltre, la Commissione ha preparato un documento di lavoro sui controlli ufficiali nel settore biologico che illustra alcuni aspetti del sistema di controllo istituito dalla legislazione biologica dell’UE e dalla legislazione orizzontale dell’UE sui controlli di alimenti e mangimi. Sebbene questo documento sia destinato principalmente all’amministrazione degli Stati membri, può essere utilizzato anche dal grande pubblico per ottenere una comprensione di base del funzionamento dei controlli ufficiali dei prodotti biologici. Oltre alla legislazione dell’UE sull’agricoltura biologica e la produzione biologica, gli agricoltori e i trasformatori che operano in modo biologico devono inoltre rispettare le norme generalmente applicabili in materia di produzione agricola e di trasformazione dei prodotti agricoli. Ciò significa che tutte le norme UE generalmente applicabili sulla regolamentazione della produzione, trasformazione, commercializzazione, etichettatura e controllo dei prodotti agricoli si applicano anche ai prodotti biologici.
Per quanto riguarda la regolamentazione sulle importazioni, viene mantenuto il consueto riconoscimento bilaterale da parte della Commissione dei paesi terzi in cooperazione con gli Stati membri. In tal modo, la Commissione, con il sostegno degli Stati membri, vigila sulla produzione e il controllo dei prodotti biologici che devono essere allineati con gli obiettivi e i principi della legislazione organica, ma forse non sono prodotti nello stesso identico modo. Un elenco di paesi terzi riconosciuti può essere reperito nell’allegato III del regolamento sulle importazioni. I regolamenti sulle importazioni garantiscono che i prodotti biologici possano essere importati anche da paesi terzi che non hanno ancora ottenuto il riconoscimento bilaterale. I prodotti fabbricati e controllati esattamente nello stesso modo in cui si trovano nell’UE possono avere libero accesso al mercato comune. Gli organismi di controllo che intendono effettuare tali controlli devono rivolgersi alla Commissione europea e essere autorizzati dalla Commissione e dagli Stati membri a tal fine. La loro supervisione è diretta direttamente dalla Commissione in collaborazione con gli Stati membri.
La relativa giovinezza del sistema pubblicistico descritto però, fa si che non sia privo di problematiche: la falla più evidente è, ad esempio, quella relativa al rimando agli schemi di certificazione privata. Per risparmiare risorse e costruire su competenze private, non è raro vedere, infatti, l’incorporazione di standard redatti privatamente in standard pubblici come “riferimento”. Questi standard possono variare ampiamente, includendo sicurezza, vantaggi e standard di valutazione. Chi cerca di accedere a questa normativa vincolante di solito non può farlo liberamente online o in un archivio. Invece, in genere deve pagare una quota significativa per l’organizzazione che ha redatto la norma. Questa legge, sotto il controllo in gran parte privato, non è dunque “segreta”, ma è costosa e difficile da trovare, e la diretta conseguenza di questo meccanismo è un ineguale capacità di accesso alla legge. Oltre a potenziali risparmi di risorse, anche pragmatiche preoccupazioni politiche potrebbero spingere all’adozione di uno standard privato piuttosto che abbozzare uno standard unico di governo. Nel caso in cui le entità regolamentate svolgono ruoli importanti nello sviluppo di regole private, e siccome le regole private tracciano le preferenze delle entità regolamentate, chi adotta questo meccanismo di rimando alla normativa privata si aspetta meno resistenza alla regola e maggiore conformità. Ad esempio, gli standard privati potrebbero riflettere le tecnologie attualmente adottate dalle entità regolamentate e quindi essere in correlazione con livelli più elevati di conformità rispetto, ad esempio, a uno standard di prestazioni che forza la tecnologia. Tutto ciò ha però come conseguenza una perdita di trasparenza non solo nella formazione delle leggi, ma anche nella possibilità di reperire il materiale normativo.
L’esistenza stessa di queste problematiche, tuttavia, ci fa paradossalmente capire quanto una regolamentazione pubblicistica di tale settore sia importante: la mancanza di trasparenza attuale, infatti, deriva essenzialmente da un tessuto normativo lacunoso, che lascia spazio ai privati per agire senza avere parametri direzionali da seguire. Anche la mancanza stessa di indicazioni sui requisiti che le società che certificano devono rispettare, è indice di una necessità impellente di azione in tal senso. Per tale motivo è innanzitutto indispensabile sostenere l’attività normativa in primis dell’UE, ma anche riconoscere i passi da gigante da essa compiuta negli ultimi quindici anni. Senza il suo intervento, infatti, saremmo immersi in un mare di organismi di certificazione, senza sapere come interpretare i parametri da essi usati. Al contrario, potendo mettere a confronto la loro attività con le procedure utilizzate dall’unione per il rilascio della certificazione “Bio”, ad esempio- certificazione che deriva da valutazioni super partes del legislatore europeo-, possiamo capire quando un prodotto è “buono” e veramente sostenibile.
iMille.org – Direttore Raoul Minetti
[…] *pubblicato sulla rivista iMille […]