sabato
16 SetAllagamenti a Roma. Serve resilienza, non il mantra della semplificazione
di Estella Marino.
Virginia Raggi ha ragione, è colpa (anche) dei cambiamenti climatici, però vale oggi come tre anni fa, quando l’allora consigliera di opposizione si faceva beffa del Sindaco con tweet di sfottò che in questi giorni passano di nuovo in rete (“preparate i gommoni”!), e tuonava contro la mancata pulizia di tombini e caditoie, facendo passare l’idea che tutto è semplice, basta un po’ di buona volontà. Questo mantra di semplificazione dei problemi è stato uno dei danni culturali più grandi che il m5s abbia prodotto ed ancora di più allontana la possibilità di affrontare in modo serio le complesse questioni della città. Magra consolazione il fatto che oggi tutto questo gli si ritorca contro.
Come ha ben detto Giovanni Caudo (ex assessore alla Trasformazione Urbana) in un suo post di qualche giorno fa <<Piove. Marino fu rappresentato come “sottoMarino” in occasione delle piogge del gennaio 2014. Era sbagliato allora speculare politicamente sulla pioggia e lo sarebbe oggi anche se chi è al governo della città c’è arrivato speculando, semplificando e banalizzando questioni complesse e ora sta facendo pagare il prezzo alla città tutta>>.
E non a caso fu proprio Giovanni Caudo a spingere perché l’Amministrazione partecipasse (e poi vincesse anche) il bando della Fondazione Rockefeller “100ResilientCities” che metteva a disposizione risorse per la costruzione del Piano di Resilienza delle Città.
Tre anni fa appunto era il 31 gennaio 2014, uno dei giorni più difficili della mia esperienza di assessore, avevo in quel momento anche le deleghe alla protezione civile e – a poca distanza dalle giornate infuocate dell’emergenza rifiuti dopo Natale – passai praticamente ventiquattr’ore al giorno per vari giorni di fila tra la sala COC della protezione civile allestita per l’emergenza e le zone che avevano subito allagamenti (assieme a colleghi assessori, presidenti di municipio, consiglieri e tutti gli uomini e le donne dipendenti e volontari della protezione civile), con l’attenzione sempre rivolta al Tevere, perché, a differenza di pochi giorni fa, la situazione idrogeologica era molto più pesante. Aveva piovuto tanto, il Tevere era in molti punti sopra il livello di guardia (testimoni le dirette da Ponte Milvio, uno dei ponti con le arcate più basse e con l’acqua quasi ad occluderle totalmente), così come tutti i suoi affluenti, e tutto il reticolo secondario (quello che ad oggi va più in crisi, come riporta anche l’aggiornamento delle mappe del rischio idrogeologico da poco approvate dall’Autorità di Bacino Tevere). Da ultimo, per non farci mancare niente, un ennesimo elemento negativo, il vento che spingeva il mare verso la costa, cosa che succede, ma quando succede in questa situazione, fa ulteriormente da tappo alla foce del Tevere allo scorrimento delle acque.
Eravamo insediati da sei mesi, non avevamo certo avuto il tempo di affrontare il rischio idrogeologico, ma nemmeno le altre cose di più immediato respiro, tra cui la pulizia delle caditoie e dei tombini, che necessitano comunque di pianificazione ed investimenti, cioè soldi in bilancio. Perché l’ordinario in questa città non si fa in modo automatico ed ordinario appunto, ma questo forse ormai è chiaro a molti.
Quindi sono vere entrambe le cose:
1) bisogna ripristinare una corretta manutenzione ordinaria dei sistemi di scolo (tombini e caditoie), che significa avere tutti gli anni i soldi in bilancio per farlo, e comprendere che la manutenzione ordinaria è la più grande opera pubblica di cui le nostre città oggi hanno bisogno, che però non si risolve con un investimento una tantum;
2) bisogna investire sulle infrastrutture materiali ed immateriali della città per predisporla a reggere meglio gli stress dettati anche da mutati (per intensità) eventi atmosferici conseguenza dei cambiamenti climatici, perché Roma, città già intrinsecamente fragile in molte sue aree – grazie ad edificazioni non proprio corrette in zone compromesse dal punto di vista idrogeologico (costruire in una località che si chiama da sempre “stagni” di Ostia forse non è proprio la scelta migliore) – è sempre meno adeguata a reggere questi shock. Tutto questo si chiama appunto aumentare la Resilienza della città.
Semplificando: se pure il tombino è pulito ma la fogna è dimensionata per il passaggio di 1/3 dell’acqua che arriva con le precipitazioni intense e concentrate o la falda che raccoglie le acque è già altissima, in punti critici si allaga lo stesso semplicemente perché il sistema non ce la fa a smaltire quell’acqua.
Ecco perché bisogna fare la manutenzione, investire nel sistema fognario, ma anche è necessario conoscere l’idrogeologia (come si muove l’acqua sotto la sotto la superficie della nostra città) ed adeguare la città al mutato clima. Tutto insieme, tutto contemporaneamente, senza semplificazioni, senza pensare che ci sia “LA” soluzione (unica e salvifica) che risolve tutto.
Per questo giusto due anni fa presentavamo la nuova carta idrogeologica di Roma Capitale, un lavoro enorme fatto dagli uffici di Roma Capitale, base di conoscenza necessaria per iniziare ad affrontare la fragilità idrogeologica della città e gli elementi critici. Un utile lavoro di conoscenza necessario anche per individuare in maniera sensata gli interventi per ridurre i rischi.
Ma da solo questo non basta e in contemporanea avevamo predisposto che il “piano di raccolta foglie” di Ama iniziasse a fine agosto, per rimuovere il più possibile da tombini e caditoie prima dell’inizio della pioggia (non si sa perché quest’anno è partito in ritardo).
Per lo stesso motivo si era iniziato contestualmente a lavorare sulle zone a maggior rischio idrogeologico col dipartimento del lavori pubblici grazie anche ai fondi del governo per il dissesto idrogeologico, queste le parole di Paolo Masini (allora assessore ai lavori pubblici) “Questa pioggia la conosco, la conosciamo. E’ terribile, impietosa. Il sistema di raccolta delle acque non può reggere ad una bomba d’acqua infinita di queste dimensioni. Occorre investire seriamente e rigorosamente, bene e per anni. Spero che il piano che abbiamo intrapreso sulle zone a rischio dissesto idrogeologico non si sia fermato. Tanto era stato fatto e tanto c’è ancora da fare.”
Ed infine per lo stesso identico motivo avevamo tenuto duro nel lavorare al Piano della Resilienza della città, tenuto duro perché quando tutti i giorni hai le emergenze, fai fatica a dedicare tempo e risorse, anche dell’amministrazione, per una cosa che sembra lontana e un po’ fumosa ed invece era il vero investimento di lungo periodo per la città. Un vero atto di cura, serio, come si può ben comprendere dall’articolo di Alessandro Coppola, il coordinatore del programma Roma Resiliente. L’articolo è dell’aprile 2016 e racconta il primo anno di lavoro, purtroppo il lavoro era esattamente a metà, due gli anni di lavoro finanziati dalla Fondazione Rockefeller per mettere a punto il piano; nel 2016 il Commissario Tronca, nonostante i numerosi solleciti a proseguire il lavoro da parte della Fondazione (e di chi credeva nel progetto), decide di interrompere tutto e non dare più seguito alla progetto.
Anche l’amministrazione Raggi per più di un anno non ha dato segnali, tranne pochi giorni fa quando è comparso sul sito di Roma Capitale per la prima volta un segnale di ripresa del progetto: meglio tardi che mai si potrebbe dire!
Non può che essere un segnale positivo rispetto al quale verificheremo la serietà dell’impegno tramite fatti concreti, attendiamo fiduciosi.
Per tutelare le nostre città bisogna guardare un po’ meno alla prossima elezione, ed un po’ più alle future generazioni.
iMille.org – Direttore Raoul Minetti
[…] *pubblicato sulla rivista iMille […]