martedì
4 LugCappuccetto Rosso, il lupo cattivo e l’accordo di Parigi
Nei giorni scorsi, il Lupo Cattivo (Trump), ha annunciato la volontà di avviare le procedure per papparsi la nonna, cioè il ritiro degli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi, firmato nel Dicembre 2015 da gran parte degli Stati mondiali per ridurre le emissioni di gas serra. I Cappuccetti Rossi di tutto il mondo si sono uniti, lanciando alti strepiti e vibranti proteste contro questa decisione e forse ma non sono sicuro, come nella favola di Perrault, aiuteranno i cacciatori ad ammazzare il Lupo Cattivo, accelerando l’eliminazione di un ingombrante personaggio politico decisamente fuori dagli schemi del politicamente corretto.
Cercherò di commentare sinteticamente le complesse sfaccettature di questo problema cruciale per l’umanità, cominciando dalla questione della reale esistenza dei cambiamenti climatici. Negli ultimi tempi, qualche Pierino (che in questo caso si allea con il Lupo) ha ripreso a mettere in dubbio, devo dire con argomenti alquanto deboli, la sussistenza dei mutamenti climatici.
Ho già spiegato in un precedente articolo come la quasi totalità dei climatologi mondiali sia invece concorde nel sostenere tale tesi. I rappresentanti della comunità scientifica internazionale nominati dall’ONU e riuniti nell’IPCC, che da decenni studiano e analizzano il fenomeno, hanno stabilito che le temperature medie globali sono aumentate abnormemente proprio a causa dell’incremento di concentrazione della CO2 e degli altri gas serra nell’atmosfera, determinato dalle attività umane (la probabilità che l’origine dei cambiamenti climatici sia antropica è valutata tra il 95% e il 100%), indicando la necessità di porre dei limiti all’aumento di temperatura, al fine di evitare o limitare una serie di sconvolgimenti planetari.
Non è questa le sede per approfondire i complessi risvolti tecnici della questione, per i diversamente anglofoni che fossero interessati, tutte le spiegazioni si trovano sul sito della sezione italiana dell’IPCC, compreso il quinto e ultimo Rapporto per i “policy makers”. Quello che non si può accettare, in questo come in altri casi che attengono la scienza, penso in Italia alla recente vicenda delle vaccinazioni, che persone incompetenti o senza preparazione specifica pretendano di avere voce in capitolo, continuando a rifiutare le conclusioni condivise dalla comunità scientifica. Si rischia di far ripiombare l’umanità nel pensiero magico che ci accomuna filogeneticamente ai primitivi cavernicoli.
Detto questo, ci si deve porre legittimamente la domanda se basta un accordo politico, quantunque importante a risolvere i drammatici problemi enunciati dagli scienziati, in altre parole se l’Accordo di Parigi (che ingloba il precedente protocollo di Kyoto) sia sufficiente ed efficace rispetto agli obiettivi che si pone. Purtroppo e con le lacrime agli occhi, a mio parere la risposta è negativa. L’Accordo di Parigi contiene sicuramente aspetti positivi e negativi, tra i primi un impegno politico quasi planetario al contenimento delle temperature globali, tra i secondi una certa vaghezza degli impegni di riduzione delle emissioni (un buon commento dell’Accordo è disponibile qui), ma il vero limite risiede nella praticabilità ed efficacia degli strumenti che dovrebbero consentire di ottenere quegli obiettivi.
Il sistema energetico rappresenta il principale responsabile delle emissioni, a causa dell’uso massiccio di fonti fossili, la cui combustione genera l’anidride carbonica responsabile dell’effetto serra (secondo l’ultimo rapporto BP le fonti fossili rappresentano ancora l’86% dell’energia primaria consumata nel mondo, le rinnovabili appena il 9,6%, il nucleare il 4,4%). Pertanto, l’unica via da seguire non può che essere l’uso efficiente dell’energia e la sostituzione delle fonti fossili con quelle alternative. Considerati i limiti termodinamici all’espansione continua dell’efficienza e tramontata l’illusione nucleare per un mix di problemi economici, di sicurezza e di limitatezza della risorsa uranio (per i motivi indicati in questo mio HYPERLINK “http://aspoitalia.blogspot.com/2009/09/le-risorse-di-uranio-cronaca-di-una.html” articolo di qualche anno fa), la vera scommessa rimane quella delle fonti rinnovabili, in particolare eolico e solare.
L’eolico convenzionale ha raggiunto una buona competitività economica, ma è fortemente penalizzato dalla limitatezza dei siti sufficientemente ventosi. Il solare fotovoltaico è sul piano teorico in condizione di soddisfare interamente il fabbisogno energetico mondiale, ma non ha ancora raggiunto la piena competitività economica e, soprattutto, condivide con l’eolico il grave e difficilmente superabile limite dell’intermittenza e non prevedibilità della produzione energetica, che paradossalmente rende inevitabile l’uso delle fonti fossili, nelle centrali termoelettriche necessarie a mantenere l’equilibrio dei sistemi elettrici nazionali e a garantire le forniture. Per questo, si parla da anni dei sistemi di accumulo dell’energia rinnovabile (batterie, idrogeno ecc.), ma questi sistemi, oltre ad allontanare ulteriormente la soglia di convenienza economica delle rinnovabili, presentano non pochi problemi di natura tecnica e industriale che, ad oggi, non ne consentono l’utilizzo su grande scala.
Di fatto, stiamo assistendo, almeno nei paesi leader nella produzione rinnovabile, penso a Italia, Germania e Spagna, ad uno stallo preoccupante delle installazioni rinnovabili, sintomo di una saturazione del mercato. Se a questo quadro aggiungiamo il fatto che le rinnovabili producono energia elettrica, i cui consumi rappresentano in media “appena” il 35% dei consumi totali di energia primaria (in Italia siamo al 38%), si pone il problema non semplice di come sostituire i consumi dei fossili nel restante 65%, cioè nei trasporti e negli usi termici (riscaldamento domestico, usi industriali ecc.). La soluzione teorica sarebbe quella di aumentare la penetrazione elettrica anche in questi settori (mobilità elettrica privata e collettiva, pompe di calore ecc.), ma questa strada incrementa e non riduce i problemi di fattibilità tecnico – economica già presenti nelle rinnovabili.
Negli ultimi anni è emersa la possibilità concreta di produrre energia elettrica con sistemi eolici non convenzionali (il cosiddetto eolico di alta quota), teoricamente in grado di superare i problemi e limiti descritti in precedenza, ma non sappiamo se le sperimentazioni tuttora in corso possano evolvere in produzioni industriali su grande scala. Per chi fosse interessato ad approfondire queste complesse tematiche che ho appena delineato, consiglio la lettura sul nostro HYPERLINK “http://archivio.imille.org/author/domenico-coiante/” sito dei preziosi articoli di Domenico Coiante.
Resta il fatto che gli encomiabili impegni politici nella lotta ai cambiamenti climatici rischiano, per i motivi precedenti di rimanere, inattuati, delle pure enunciazioni di principi. Ed anche se tutti gli ostacoli di natura tecnologica, economica, industriale, potessero essere superati, bisogna comprendere, per i motivi che ho spiegato qui, che il modello economico e demografico che domina attualmente sul pianeta è comunque intrinsecamente insostenibile.
Per aiutare a capire visivamente questo concetto, vi invito a leggere con attenzione il primo grafico, che ho disegnato a partire dai dati forniti nei rapporti disponibili sul sito dell’Agenzia Energetica Internazionale. Vediamo come sono cambiate, dal 1990 al 2014, le emissioni nei principali consumatori energetici del pianeta. Le nazioni o gli aggregati di nazioni (l’EU 28 non è e non sarà mai una nazione) presi in esame rappresentano circa il 70% delle emissioni globali di CO2 (nel 2014 pari a 32.381 milioni di tonnellate, cresciute del 58% rispetto al 1990) e sono in ordine di emissione: Cina, Stati Uniti, EU 28, India, Federazione Russa, Giappone, Brasile e Australia. Ora, noi europei siamo stati bravini a ridurre le emissioni, gli Stati Uniti abbastanza cattivi, ma ora vi pongo una domanda: “Chi costituisce il principale problema nella lotta ai cambiamenti climatici?” A chi risponderà esattamente verrà assegnato in premio una confezione di riso. Lo sforzo di Sisifo di riduzione delle emissioni, viene ampiamente compensato e superato dai grandi numeri determinati dalla crescita economica dei paesi in via di sviluppo.
Infine, per tornare nei limiti angusti dei nostri confini nazionali ed europei, mi pare opportuno dire qualcosa in merito a una polemica un po’ capziosa che qualche saputello ha imbastito contro gli europei, in particolare i tedeschi, che impartirebbero lezioni agli altri, continuando ad essere inquinatori in casa propria, con l’ampio uso del carbone per la produzione di energia elettrica. E lo faccio con un altro grafico, elaborato questa volta dai dati ufficiali delle emissioni di gas serra, resi disponibili dall’Agenzia ambientale europea. Si vede di quanto sono variate le emissioni di co2 equivalente nei paesi dell’EU 28. Il rapporto si chiama “Annual European Union greenhouse gas inventory 1990–2014 and inventory report 2016”.
Nel periodo 1990 – 2014, complessivamente nell’UE 28, le emissioni sono diminuite del 24,4 %. La Germania ha diminuito del 27,8% (l’Italia del 19,8%). Come ho detto prima, quando si parla di emissioni di CO2 è sbagliato fare riferimento solo a quelle delle centrali termoelettriche, perché l’energia elettrica rappresenta una parte dei consumi totali di energia primaria. Comunque, la riduzione della Germania, che c’è stata, è dovuta principalmente a una parziale conversione delle centrali termoelettriche dal carbone al metano. Anche i dati dell’Agenzia Energetica internazionale, che riguardano le sole emissioni del settore energetico (cioè senza metano e protossido di azoto), confermano questo quadro. In questo articolo, si vede di quanto è diminuito l’uso di lignite e carbone in Germania nello stesso periodo. Se poi vogliamo proprio rinnovare i fasti di Italia – Germania 4 a 3, si può dire che, l’Italia, pur avendo superato abbondantemente gli obiettivi del protocollo di Kyoto principalmente grazie alle conseguenze della crisi economica (come ho spiegato su queste pagine), in termini energetici è messa molto meglio della Germania, in virtù di un mix di fonti energetiche meno inquinanti e di una minore intensità energetica (consumi di energia per unità di PIL). Inoltre, la Germania che annunciava qualche anno fa l’uscita graduale e totale dal carbone, sembra aver rinunciato a questo obiettivo, probabilmente a causa della assenza di alternative praticabili.
Concludendo, il pessimismo della ragione che trasuda da questo mio articolo, non è finalizzato a suggerire un affievolimento degli sforzi per la riduzione delle emissioni, tutt’altro. Se anche gli scenari peggiori dovessero avverarsi, comunque occorre investire in tecnologie e pratiche economico – industriali che rallentino l’uso di fonti fossili e consentano di gestire con minori rischi il probabile declino.
iMille.org – Direttore Raoul Minetti
iMille.org – Direttore Raoul Minetti
1 comment
“occorre investire in tecnologie e pratiche economico – industriali che rallentino l’uso di fonti fossili ”
Kitegen! Fate funzionare il Kitegen!
Funzionava già nel 2011 [1], perché è stato nascosto?:
“… All’idea originaria sono seguiti 10 anni di ricerche scientifiche e tecnologiche, culminati con la realizzazione di alcuni prototipi industriali, funzionanti da oltre un anno, che producono effettivamente energia a piccola scala (circa 0,5-1 MW)]. L’EROEI ottenibile con questa tecnologia è stimato in circa 30 volte quello dell’eolico tradizionale (torri eoliche) …”
Siccome poco sopra si legge che “l’EROEI degli impianti di energia eolica in Italia è valutato intorno a 20”, Kitegen deve avere EROEI circa seicento; è pazzesco che impianti funzionanti Già cinque anni fa non siano diffusi a centinaia! Ed è folle che non si sappia con quale potenza siano stati prodotti 0,5-1 MW di energia!
Ci deve essere qualcosa di marcio in questa vicenda.
—————–
1: http://archivio.imille.org/2012/12/leroei-lingegno-italiano-ed-il-futuro-energetico-mondiale/